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Ostaggi israeliani, la denuncia del Forum delle Famiglie dopo l’accordo sui medicinali: «Nessuna prova della ricezione»

21 Gennaio 2024 - 17:26 Simone Disegni
A quattro giorni dall'ingresso dei camion nessuna conferma sul destino dei farmaci per gli oltre 100 rapiti a Gaza. Il Forum a Open: «Vogliamo prove visive. E che siano liberati subito»

Avraham Munder, 79 anni, è rimasto prigioniero a Gaza mentre sua moglie Ruth, la figlia Keren e il nipotino Ohad venivano rilasciati dai terroristi. L’anziano era caduto dalla moto su cui i miliziani di Hamas lo trasportavano a forza nella Striscia il 7 ottobre, forse in un estremo tentativo di salvarsi, ferendosi a mani e gambe. Michel Nisenbaum, 59 anni, ha il morbo di Crohn. Dolev Yehoud, 35 anni, ha problemi cronici ai reni e alla tiroide. Yosef AlZiadne, 53 anni, soffre di diabete e ipertensione. E poi c’è lui, Kfir Bibas, il più piccolo tra gli israeliani presi in ostaggio da Hamas: il bimbetto dai capelli rossi che giovedì ha compiuto un anno. Forse. Perché di nessuno tra questi, né degli altri 100 ostaggi che si stima restino nelle mani degli islamisti a Gaza, si conosce il destino. Vivi o morti. Feriti o in salute. L’unica cosa certa è che ad essere rilasciati nella breve finestra di pausa nei combattimenti, l’ultima settimana di novembre, sono stati meno della metà degli israeliani e non fatti prigionieri il 7 ottobre: 105, in prevalenza donne, anziani e bambini. Oltre la metà, dunque, sono rimasti indietro. 136, secondo il conteggio ufficiale di Israele: inclusi quelli, almeno 27, che già si sa essere morti. Una quindicina dei rimasti sono donne, altrettanti anziani, due i bambini – i fratellini Bibas, appunto. Gli altri sono uomini in età adulta. Molti di essi probabilmente, considerata la giovane età, sono soldati catturati da Hamas nelle prime ore del 7 ottobre, nonappena partì l’assalto. Tra gli obiettivi di Israele da ormai oltre tre mesi c’è quello di riportarli a casa tutti, quelli in vita così come i cadaveri, civili o militari. Obiettivo sin qui tragicamente fallito, negoziati a parte: da quando le truppe Idf sono entrate nella Striscia, a fine ottobre, uno solo dei rapiti è stato liberato in un blitz, la soldatessa Ori Megidish. Altre operazioni speciali simili, note e non, sono finite male, inclusa quella in cui, a metà dicembre, l’esercito ha ucciso per errore tre ostaggi che erano riusciti a fuggire. E ora, premono le famiglie, il tempo per salvare chi è rimasto indietro stringe disperatamente: senza le cure necessarie per ciascuno di essi ogni giorno potrebb’essere l’ultimo.

Medicine e trattative

Dopo la chiusura della finestra negoziale di fine novembre, durata una settimana, Israele e Hamas hanno ripreso i combattimenti se possibile con ancor più durezza. I palestinesi morti a Gaza dall’inizio della guerra sono ormai oltre 25 mila, secondo fonti legate a Hamas; 1,7 milioni dei 2,2 di abitanti nella Striscia sono sfollati e a rischio di fame e malattie sotto i costanti bombardamenti. Nord e sud di Israele restano bersagli dei missili lanciati rispettivamente da Hezbollah e Hamas, e centinaia di migliaia di israeliani sono sfollati interni dopo le conseguenti evacuazioni. Anche per questo ha destato qualche barlume di speranza l’accordo umanitario siglato nell’ultima settimana indirettamente dalle due parti in guerra, il primo dopo mesi di contatti sporadici e infruttuosi. Medicine destinate agli ostaggi in cambio di cibo, farmaci e altri beni di prima necessità per la popolazione di Gaza. La spedizione, resa possibile da Francia e Qatar che hanno facilitato l’accordo, è entrata nella Striscia dal valico di Rafah mercoledì 17 gennaio. «Un piccolo raggio di luce nelle tenebre», ha commentato a caldo Yehonatan Sabban, portavoce della squadra medica e di resilienza del Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi. È il team che ormai da mesi si occupa, fra l’altro, proprio di raccogliere le informazioni sulle esigenze mediche di ciascuno degli ostaggi a Gaza e compilare la lista di farmaci e terapie necessari, in alcuni casi vitali. Ma a quattro giorni dall’ingresso nella Striscia di quei carichi, il destino di quella spedizione resta sconosciuto. «Non abbiamo sin qui alcuna certezza che gli ostaggi le abbiano effettivamente ricevute: chiediamo una prova visiva di ciò», dice ora a Open il Forum delle famiglie. Che sottolinea inoltre come la necessità impellente è che ognuno dei prigionieri sia visitato da personale medico indipendente, prima di assumere qualsiasi farmaco. Per questo il Forum si appella alla Croce rossa internazionale, accusata di non aver mai davvero avanzato la richiesta di visitare gli ostaggi come prescriverebbero le convenzioni internazionali.

«Liberateli subito»: ma come?

Medicine a parte, la necessità e la richiesta fondamentale delle famiglie e non solo è e resta comunque una sola: che gli ostaggi siano liberati tutti, subito e senza condizioni. A oltre 100 giorni dal rapimento, considerate le vessazioni, la carenza di luce, acqua, cibo, movimento e trattamenti medici appunto di cui hanno riferito gli ostaggi sin qui liberati, ciascuno di quelli rimanenti rischia la morte o danni irreversibili alla salute fisica e mentale, denuncia in un recente rapporto il Forum delle famiglie. Per questo, sottolinea Sabban, il giorno giusto per liberarli è oggi: anzi «ieri, piuttosto che domani». Sul come ciò possa avvenire però è lite ormai esplicita dentro lo stesso governo israeliano. Il premier Benjamin Netanyahu continua a ripetere, insieme col suo ministro della Difesa Yoav Gallant, che l’unico modo per ottenere la loro liberazione è tramite la continua pressione militare. Guerra senza quartiere e senza «data di scadenza», insomma, specie nella zona sud della Striscia dove si pensa gli oltre 100 ostaggi siano a questo punto prigionieri, sinché l’obiettivo non sarà stato raggiunto. Insieme a quello di «sradicare» del tutto Hamas dalla Striscia. A uscire allo scoperto e denunciare l’irrealismo di quest’approccio è stato però nei giorni scorsi uno dei maggiorenti del gabinetto di guerra ed ex capo di Stato maggiore dell’esercito. In un’intervista tv andata in onda giovedì sera, Gadi Eisenkot, entrato dall’opposizione nel governo «allargato» di unità nazionale dopo il 7 ottobre, ha detto chiaro e tondo di ritenere a questo punto «irrealistica» una vittoria completa su Hamas, così come la possibilità di liberare altri ostaggi con bltiz eroici delle forze israeliane. «Dobbiamo dire la verità alle persone, non raccontare storie», ha attaccato Eisenkot, che milita nel partito centrista Unità Nazionale guidato da un altro ex capo di Stato maggiore, Benny Gantz. «Va detto con coraggio che nel breve periodo non è possibile far tornare vivi gli ostaggi senza un accordo». Chiunque dica il contrario, ha proseguito Eisenkot mirando implicitamente a Netanyahu «sta cercando di vendere fantasie all’opinione pubblica». L’ex generale, che nei combattimenti a Gaza ha perso nei mesi scorsi un figlio e un nipote, ha anche avanzato per la prima volta esplicitamente la richiesta che si tengano nei prossimi mesi elezioni anticipate per «ristabilire la fiducia» dei cittadini nello Stato finita in pezzi il 7 ottobre.

Le divisioni nel governo e il destino degli ostaggi

Un’eventualità che ancora pochi giorni fa Netanyahu ha allontanato con sdegno parlando di un percorso che «dividerebbe il Paese nel momento in cui ha bisogno assoluto di unità» e che farebbe il gioco dei nemici del Paese, dall’Iran a Hamas. Ma il tabù nel discorso pubblico israeliano pare rotto, e secondo il Jerusalem Post dentro lo stesso Likud sarebbero in corso manovre per designare il successore di un leader considerato ormai finito. Divisioni politiche di cui, nel breve termine, a pagare il conto rischiano di essere sempre loro: gli oltre 100 ostaggi che restano prigionieri di Hamas. Il governo sta facendo abbastanza per loro? Le famiglie che ne pensano? Il portavoce del Forum a Open conferma la linea ufficiale del muro di gomma: «Le famiglie vogliono figli, mogli, mariti a casa ora, immediatamente. Questo è ciò per cui chiunque nel mondo, ciascuno coi suoi mezzi, dovrebbe battersi. Punto».

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