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Meloni tentata dalla corsa europea: «Decido all’ultimo, importante il consenso». E sul teatro di Roma: «La nomina scandalizza perché non ha la tessera Pd»

22 Gennaio 2024 - 18:24 Redazione
Intervista a tutto campo con Nicola Porro: «Caso Ferragni? Più regole sulla beneficienza, io attaccata manco avessi criticato Che Guevara»

Non scopre le carte, la premier Giorgia Meloni intervistata da Nicola Porro su Quarta repubblica (in onda questa sera, 22 gennaio a partire dalle 21.25 ma registrata nel pomeriggio), a proposito della candidatura alle europee che, per la verità, in Parlamento danno tutti per scontata. «Vediamo, vediamo», glissa, dicendo che le possibilità sono «cinquanta e cinquanta»: «Me la cavo così perché non ho deciso, penso che deciderò all’ultimo, quando si formano le liste. Si figuri se non considero importante misurarmi con il consenso dei cittadini. È l’unico elemento che conta per me. I cittadini che dovessero votare per una Meloni che si candida in Europa sanno che non ci va, ciò non toglie che se vogliono confermare o confermare un consenso, anche quella è democrazia. Per me potrebbe essere importante verificare se ho ancora quel consenso». Del resto, anche in passato la premier ha spiegato che, a suo avviso, la democrazia è «votare chi ti governa».

Il caso teatro di Roma

Nell’ampia intervista, Porro ha toccato praticamente tutti i temi di attualità, dando spazio all’interlocutrice per rispondere. Impossibile, dunque, non parlare della contestata nomina di Luca De Fusco alla direzione del teatro di Roma: «Ha un curriculum di ferro sul piano culturale e della competenza, non ha tessere di partito e qual è lo scandalo? Che non ha la tessera del Pd. Avviso ai naviganti: il mondo nel quale per le nomine pubbliche la tessera del Pd fa punteggio è finito: ci vanno le persone che hanno un merito indipendentemente dalla tessera che hanno deciso di sottoscrivere se ne hanno una». La misura sul Superbonus «così come scritta si è configurata come la più grande truffa ai danni dello Stato italiano della storia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni parlando a Quarta Repubblica. Una misura che «costa a ciascun italiano, neonati compresi e chi è senza casa, più di 2mila euro a testa» e «il 50% di queste risorse è andata alla fetta più ricca della popolazione: gente che non aveva casa ha pagato per la seconda casa del miliardario». «Quest’anno ho fatto una manovra di 30 miliardi – ha concluso – partivo da 20 da pagare sul superbonus e 13 sul debito: il superbonus s’è mangiato una finanziaria e così sarà nei prossimi anni».

Lo scontro con Chiara Ferragni

A proposito della querelle con l’imprenditrice Chiara Ferragni, dice la premier, «Non sono pentita» delle dichiarazioni sul caso del pandoro, «mi è dispiaciuto che sia stato letto come uno scontro. Figuriamoci se c’era voglia e interesse a uno scontro con Chiara Ferragni. Stavo dicendo una cosa in positivo, verso le persone che producono un’eccellenza che noi vediamo attraverso gli influencer e diamo più peso a chi la indossa rispetto a chi la produce»: «Poi – ha continuato Meloni – ho fatto un passaggio perché era di cronaca la vicenda del pandoro, ma è la sinistra che si è sbracciata per difendere e ha creato un caso politico, manco avessi attaccato Che Guevara». A questo punto, però, il governo è intenzionato ad intervenire con una norma specifica: «Arriva al Consiglio dei ministri di giovedì” una norma che «stiamo facendo, per cui nelle attività commerciali con anche uno scopo benefico, sulla confezione di quello che vendi devi specificare a chi vanno le risorse, per cosa vanno e quanta parte viene effettivamente destinato a scopo benefico”. Il caso, dice la premier, «ha fatto vedere che c’è un buco in termini di trasparenza nella normativa delle attività commerciali che hanno anche uno scopo benefico. Voluto o non voluto, adesso vi si può incappare». Il tema ha dato l’agio per collegare immediatamente la polemica con Repubblica e con i quotidiani del gruppo Gedi: «Mi ha fatto sorridere la prima pagina di Repubblica: l’Italia è in vendita. Bello tutto, ma che questa accusa arrivi dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e l’hanno ceduta ai francesi, che hanno trasferito all’estero sede fiscale e legale, hanno messo in vendita sui siti immobiliari i siti delle nostre storiche aziende italiane… Non so se il titolo fosse un’autobiografia, ma le lezioni di tutela dell’italianità da questi pulpiti anche no».

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