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Impose la dieta a una dipendente portandola alla depressione, umiliata davanti ai colleghi: la società condannata a risarcirla

22 Gennaio 2024 - 23:51 Redazione
Alla lavoratrice fu imposto di fare gli esami del sangue e venne fornito anche un clistere

Non le andava bene il peso della sua nuova dipendente e ha deciso di imporle delle direttive ferree. Così l’amministratrice di una società ha trattato una lavoratrice che ora dovrà risarcire. Quando l’assunse le fornì un clistere prescrivendole di usarlo e le diede da fare una dieta ipoglicemica affinché perdesse peso e indossasse una divisa di taglia media o small. Inoltre, la costrinse a subire sedute di massaggi sul luogo di lavoro, che lei stessa praticava, e le fece fare degli esami del sangue, chiedendole anche la password per consultarli con la scusa di fornire consigli in caso di eventuali anomalie. Un trattamento inaccettabile per la Corte di Cassazione – sezione lavoro che ha condannato l’amministratrice e riconosciuto alla dipendente di essere stata vittima di «straining», una situazione di stress imposta volontariamente dal datore di lavoro.

Le testimonianze

I giudici hanno confermato la decisione che aveva preso la Corte d’Appello di Brescia – il verdetto di primo grado fu emesso dal tribunale di Mantova – che aveva condannato la società a pagare 12.500 euro per danni biologici e morali alla dipendente. A sostegno di quest’ultima c’era anche una relazione medica in cui venne messo nero su bianco che la donna soffriva di depressione a causa del comportamento del suo capo. Le condotte vessatorie della capa risalgono al 2013. Nel corso delle indagini, è emerso che anche altre lavoratrici furono vittime di comportamenti di questo genere. Nella sentenza, diffusa dall’Agi, si legge anche che la dipendente spesso veniva trattenuta in uno stanzino da una collega più anziana o, talvolta, umiliata in pubblico con ampi rimproveri. Il tutto ha trovato conferma nel racconto di alcuni testimoni, i quali hanno parlato di gravi invasioni nella sfera privata e intima da parte dell’amministratrice della società. Per questo motivo, la Cassazione ha respinto il ricorso della società definendolo infondato.

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