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La storia di Giulia, guarita dall’anoressia atipica: «Mi hanno salvato i privati. La sanità pubblica? Devi aspettare 9 mesi»

27 Gennaio 2024 - 07:50 Redazione
giulia boschis anoressia atipica
giulia boschis anoressia atipica
Ha iniziato con una dieta presa da una rivista. Poi la bulimia. Ora è salva e aiuta gli altri

Giulia Boschis, studentessa di scienze internazionali di 22 anni, ha iniziato a soffrire di anoressia atipica a 17 anni con una dieta presa da una rivista. Quando ha visto la luce in fondo al tunnel, è diventata attivista nel gruppo “Scompaiono i confini del corpo”. Oggi racconta all’edizione torinese di Repubblica la sua esperienza. Fatta di tante cure, ma tutte nel privato. Perché, dice, la sanità pubblica non ha gli strumenti necessari per trattare l’anoressia e i disturbi alimentari. «Ne sono uscita grazie al lavoro con una dietista, una psicologa e uno psichiatra. Tutti professionisti privati, perché nel pubblico, solo per il primo appuntamento, devi aspettare almeno nove mesi. E poi per l’ospedale più vicino a casa non ero abbastanza sottopeso», dice nell’intervista con Luca Monaco.

La prima dieta

Giulia racconta che a 17 anni ha cominciato la sua prima dieta: «Non la seguivo neanche alla lettera, perché eliminavo tutti i cibi che non mi piacevano. Così ho perso tanti chili in pochi mesi». È andata avanti così per altri tre anni: «A 21 anni ho iniziato a usare il cibo in modo diverso. Credevo di essere bulimica, in realtà ho scoperto dopo che non presentavo tutti i sintomi della bulimia». Ha iniziato ad approcciarsi agli specialisti «durante il primo confinamento, nel 2020. I miei genitori si sono accorti che qualcosa non andava e abbiamo iniziato a cercare l’aiuto dei professionisti. È stato complicato, ne ho cambiati diversi, fino ad andare in cura contemporaneamente da una psicologa, uno psichiatra e una dietista. Ogni seduta costa dai 60 agli 80 euro. Senza i miei genitori non ce l’avrei mai fatta».

L’aiuto all’amico

Ora ha deciso di impegnarsi nella cura dei disturbi alimentari: «Meloni li ha definiti devianze. Non ha capito che di disturbi alimentari si muore. È fondamentale che la politica si faccia carico del problema, per questo la scorsa settimana siamo scesi in piazza». Infine, racconta di quella volta che è riuscita ad aiutare un amico in difficoltà: «Questa cosa mi ha dato una carica pazzesca. Ho capito che se ero riuscita a far aprire lui, avrei potuto aiutare tante altre persone».

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