L’inchiesta su Chiara Ferragni resta a Milano: i sospetti sui 3 casi con lo stesso «disegno criminoso»
Resta a Milano l’indagine per truffa aggravata a carico di Chiara Ferragni. La procura generale delle Cassazione ha deciso che spetta alla procura milanese portare avanti l’inchiesta partita dal caso dei pandoro Balocco e della presunta beneficenza ai bambini dell’ospedale Regina Margherita di Torino. La decisione va a chiarire il conflitto di competenze territoriale, nato dopo che sul caso dell’influencer avevano aperto un fascicolo sia la procura di Milano, che quella di Cuneo, dove ha sede la Balocco. Tra gli indagati c’è anche l’amministratrice delegata dell’azienda dolciaria, Alessandra Balocco. Secondo la procura generale della Cassazione, l’inchiesta deve restare a Milano perché i contratti per la promozione del pandoro «Pink Christmas» tra la società dell’influencer e l’azienda piemontese sono stati firmati nel capoluogo milanese.
L’indagine milanese
La procura milanese indaga l’imprenditrice anche per i casi relativi alle promozioni delle Uova Dolci Preziosi tra il 2021 e il 2022 e su quella di una bambola in collaborazione con Trudi con le sue sembianze nel 2019. Nel caso delle uova pasquali, il ruolo di testimonial ha fruttato all’influente un cachet di 500mila euro nel 2021 e di 700mila circa l’anno dopo. L’ipotesi del pm Eugenio Fusco è che anche in quel caso si sarebbe lasciato immaginare ai consumatori di contribuire alla donazione di fondi per l’associazione «Bambini delle fate». A quella organizzazione invece l’azienda barese aveva già donato 36mila euro. Le indagini si sono quindi allargare anche al caso della vendita della bambola, con la Tbs crew della Ferragni che ha dichiarato di aver donato nel 2019 tutti i ricavi della «Mascotte Chiara Ferragni» arrivati dall’e-commerce per l’associazione «Stomp out bullying». Donazione però smentita dalla fondatrice dell’associazione. Secondo gli inquirenti milanese, i tre casi sono legati dal «vincolo della continuazione» in un presunto «medesimo disegno criminoso».
Il pg di Cassazione non ha comunque usato il criterio del vincolo di continuazione tra il caso dei pandoro e gli altri due, essendo i soggetti coinvolti nelle tre vicende in parte diversi. Né è prevalso il criterio delle residenze degli indagati. Nel provvedimento viene riportato che ci sono «indici esteriori, di tenore non equivoco» su una «unitaria programmazione, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso» delle presunte truffe dei tre casi contestati, considerando «l’unitarietà della spinta a delinquere», la «analogia del “modus operandi”» e il «lasso temporale» tra gli episodi». In tutti e tre i casi, secondo il pg di Cassazione, l’influencer ha pubblicato sui suoi canali social post, stories e «video fuorvianti» nei confronti dei consumatori.
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