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Sanremo 2024, da Ghali a Fiorella Mannoia: i brani politici che emergono dalla melassa amorosa 

01 Febbraio 2024 - 09:21 Gabriele Fazio
Anche quest’anno la parola più utilizzata nei brani in gara all’Ariston è "amore", il tema più vecchio del mondo. Ma i testi migliori raccontano il sociale: ecco quali sono

Passano i liricisti, passa la stagione del grande cantautorato, passa il pop sintetico degli anni Ottanta, passa quello generalista dei Novanta, passa anche quello televisivo dei 2000 e anche l’approccio indie in voga fino a pochi anni fa. Ora è la stagione del rap e probabilmente passerà anche questa, ma è chiaro che con l’andare del tempo anche la letteratura musicale si modifica, si modella, si alimenta del linguaggio di chi la ascolta, quindi soprattutto i più giovani, e questo trend è chiaro che si manifesti poi quando andiamo a scoprire di cosa parlano i testi delle canzoni del Festival di Sanremo, che in questo caso potremmo interpretare come fotografia precisa non solo di ciò che l’artista singolo vuole raccontarci ma cosa la musica italiana in generale vuole raccontarci, una sorta di termometro del nostro sentimentalismo comune, della nostra sensibilità collettiva. Tutto corretto, matematico, quadrato, se non fosse che poi quando parliamo di contenuti nel nostro pop, si finisce sempre a parlare d’amore.

L’amore torna a Sanremo

Anche quest’anno infatti la parola più utilizzata nei brani in gara all’Ariston è “amore”, il tema più vecchio del mondo. L’amore in tutte le sue salse, da Alessandra Amoroso che in Fino a qui pretende spazio per autodefinirsi come donna e quindi essere più libera all’interno del proprio rapporto, a Clara che in Diamanti grezzi sì, parla d’amore, ma in maniera piuttosto vaga, abbastanza adolescenziale: «L’amore è una sala slot / mi gioco tutto / da quando non ricordi più / cosa siamo noi». Per Diodato in Ti muovi invece l’amore è qualcosa da recuperare, con la cautela necessaria, flashback felici a tirare le fila del testo e una speranza nel cuore, manifestata con il suo solito garbo. Recuperare un rapporto spesso parte dal chiedere scusa, che è quello che invece fa Emma Marrone nella sua Apnea: «Tagliami il cuore se vuoi con un paio di forbici / Chiamo l’avvocato / E gli dico tutto / Che sono cambiata / Che sono distrutta / Da quando sei andato perché / Non ho capito un cazzo di te / Scusami non parliamone più / C’hai ragione tu /È colpa mia se adesso siamo in bilico». Risponde con delle scuse anche Fred De Palma nella sua Il cielo non ci vuole, anche se in puro stile machista reggaeton, reclamando un ritorno senza ammetterlo mai apertamente. Forse sarebbe meglio scrivere una lettera, come quella che Sangiovanni nella sua Finiscimi dedica alla ex pregandola di fargli sentire: «Quanto sono pessimo, quanto ti ho mancato di rispetto non dicendoti la verità».

I Negramaro in Ricominciamo tutto cantano della fuga come rimedio per ritrovarsi, per ricominciare, appunto. Invece Gazzelle con la sua lei, tutto ok, in Tutto qui progettano una fuga, si, ma felice, da Roma nord, una canzone d’amore quindi, ma insieme, uniti, come i protagonisti di Spettacolare di Maninni, due che si stringono forte contro il marcio della vita. Due innamorati che potrebbero perfino dedicarsi Capolavoro de Il Volo, brano che inquadra la gioia dell’esplosione del sentimento, un’esplosione che potrebbe fare Click boom!, come canta Rose Villain, alle prese con un amore rumoroso e letale come un colpo di pistola, veloce come quello cantato dai Santi Francesi in L’amore in bocca, che racconta di una prima notte fugace mentre si spera in una seconda notte fugace. Una notte che ci pensano i The Kolors nella loro potenziale hit Un ragazzo una ragazza a celebrare con l’allegria del loro sound discofunky. In pratica il contrario di ciò che propone il giovanissimo Geolier, che debutta a Sanremo in napoletano con la sua I p’ me, tu p’ te, la storia di un amore destinato a finire e che poi infatti finisce e i due si ritrovano a pensarsi da lontano. Pazienza. «Bastasse solo una stupida canzone per riuscire a riportarti da me», canta invece Irama in Tu no, anche lui evidentemente alle prese con un amore perduto. Impossibile che Loredana Bertè perda il suo in Pazza, perché si tratta di una canzone d’amore passionale, quasi fisica, folle verso se stessi. La pazzia in amore è anche il tema scelto dalla coppia Renga/Nek nella loro Pazzo di te; i Ricchi e Poveri invece la prendono meno sul serio, con allegria, un invito in pista per godersela ma serve sbrigarsi perché «ti aspetto, ma non tutta la vita», che poi è anche il titolo del brano.

I brani che toccano temi sociali

BigMama ne La rabbia non ti basta si denuda davanti al paese intero con una canzone molto coraggiosa nella quale emerge un passato doloroso, quello comune a tante ragazze e del quale forse si parla solo quando è troppo tardi, quando si materializza e fa danni. Un tema importante da avere al Festival, specie in un periodo in cui, finalmente, si sono accesi forti riflettori su certi argomenti. E a proposito di donne, Fiorella Mannoia nella sua Mariposa in pratica decide di rappresentarle tutte, «Mi chiamano con tutti i nomi – canterà all’Ariston – Tutti quelli che mi hanno dato / E nel profondo sono libera, orgogliosa e canto», un brano di matrice femminista ma senza volgari eccessi, senza scadere mai nel retorico, e che con grande poesia risulta fortissimo nei contenuti, niente che non ci si potesse aspettare da chi ha cantato Quello che le donne non dicono.

Anche Dargen D’Amico butta sul tavolo un pezzo, Onda alta, che affronta una verità molto difficile, anche particolarmente scomoda, quella dei migranti in mare che sognano di approdare sani e salvi in un futuro migliore, è un pezzo colorato, tipico del giudice di X Factor, ma crudo nella propria essenza, cosa che lo rende ancora più credibile riuscendo a restituirci con quella allegria sfrontata anche la visione di chi sta dall’altra parte, ovvero la nostra. Anche Ghali con Casa mia opta per un pezzo di impatto, un’analisi cruda, intensa e spietata verso la società che viviamo e che, senza mezzi termini, recita: «Ma, come fate a dire che qui è tutto normale / Per tracciare un confine / Con linee immaginarie bombardate un ospedale / Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane / Non c’è mai pace».  E se Mahmood nella sua Tuta Gold ci porta nelle periferie nei panni di uno spacciatore, i ragazzi de La Sad, nella loro Autodistruttivo altro non fanno che amplificare il fioco grido d’aiuto di una porzione di generazione che si sente emarginata, come se fosse capitata nel mondo per sbaglio, che non viene interpellata e che trova rifugio solo in un’oscurità di spirito quasi preoccupante.

Le altre

Alessandra Amoroso in Fino a qui si butta su un tema generico: mentre casca giù da un grattacielo, «piano dopo piano» si dice che, tutto sommato «fino a qui tutto bene». Ottimista. Un po’ come Alfa, che in Vai! propone un invito ultrapop a godersi la vita il più possibile: beata gioventù. Come quella stracolorata dei Bnkr44, che invece sono pronti a regalarci qualche minuto di leggerezza con la loro Governo Punk, che non ha grosse pretese cantautorali ma che comunque quando canteranno: «Governo punk / Questa città sembra una maledizione / Restiamo qua, fermi a guardare / Un tramonto in televisione», di certo ci restituiranno una visione generazionale affatto banale. È Angelina Mango, con il contributo di Madame in versione autrice, a riportarci ad una realtà vagamente più autentica con La noia, oppure Il Tre, che nella sua Fragili prova ad inventarsi un rifugio musicale sicuro per chi si sente fatto a pezzi dalla vita. Un luogo che, tra l’altro, durante la settimana del Festival a Sanremo diventerà anche fisico.

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