Torino, incinta di due gemelli abortisce dopo l’amniocentesi: a processo due ginecologi
Due ginecologi, padre e figlia, sono finiti a processo a Torino con l’accusa di procurato aborto colposo ai danni di una loro paziente, un medico di 46 anni, che era ricorsa alla fecondazione assistita per rimanere incinta e aspettava due gemelli. Nel 2019 la donna ha subito una interruzione di gravidanza spontanea al quarto mese, a causa di una infezione da stafilococco dopo la amniocentesi. Secondo il pm Giorgio Nicola, l’aborto si sarebbe potuto evitare se i medici avessero preso i necessari accorgimenti, a cominciare dalla sterilizzazione degli strumenti fino a normali esami da laboratorio quando la paziente ha avvertito i primi sintomi due giorni dopo il test. L’inchiesta si avvale delle consulenze specialistiche che individuano le responsabilità dei medici coinvolti. Su consiglio della sua ginecologa, la 46enne si era sottoposta alla amniocentesi, un esame particolarmente invasivo che si esegue tra la 15esima e la 20esima settimana, senza anestesia, e prevede il prelievo di liquido amniotico tramite l’introduzione di un ago nell’addome materno. Come controllo, ha una soglia di rischio piuttosto bassa, tra lo 0,5 e l’1 per cento di possibilità di aborto, ma considerata l’età della donna – i fatti risalgono al 2019, aveva 41 anni – e la doppia gravidanza, sarebbe stato preferibile – si legge ancora nel parere che integra l’inchiesta – consigliarle altri tipi di test, come il Duo test sul dna fetale, che non presenta rischi.
L’infezione e l’aborto
La ginecologa l’aveva quindi indirizzata da suo padre, anch’egli medico, che lavora in una clinica specializzata, e che ha eseguito l’amniocentesi. Due giorni dopo l’esame però sono iniziati i problemi. La donna ha iniziato ad avere la febbre, ma è stata rassicurata dal medico. Anche il giorno successivo, quando ha iniziato ad avere le prime perdite. Ventiquattr’ore è avvenuto l’aborto. Secondo le consulenze specialistiche della Procura, il medico che ha eseguito l’amniocentesi non ha effettuato una adeguata asepsi, provocando una infezione alla 41enne. La sua ginecologa poi avrebbe potuto evitarle l’esame, troppo rischioso per le sue condizioni, e non è stata poi in grado di collegare i sintomi della donna con l’esame effettuato pochi giorni prima. È quindi accusata di «non aver prescritto a fronte di uno stato febbrile esami di laboratorio secondo buona pratica»: con ogni probabilità, una volta individuato il problema, un ciclo di antibiotici avrebbe potuto evitare l’interruzione di gravidanza. Ora la vicenda verrà affrontata davanti a un giudice. Secondo le difese invece, la paziente potrebbe aver contratto l’infezione sul luogo di lavoro.
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