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Mihael, autore del cartello «Free Gaza from Hamas»: «Una settimana di insulti ma anche molti grazie» – L’intervista

03 Febbraio 2024 - 06:30 Simone Disegni
Sette giorni dopo il cartello mostrato al corteo pro-Palestina di Milano, l'imprenditore digitale 25enne ostenta serenità: «Lo rifarei, la pace la vogliamo tutti ma il problema è il come»

«Trovarmi all’improvviso al centro dell’attenzione è stato particolare, ma in fondo bello: ho ricevuto minacce e insulti, certo, ma anche una marea di messaggi di persone che mi hanno detto “Grazie, sei un grande”». A una settimana dal pomeriggio in cui s’è ritrovato per qualche ora il ragazzo più amato e odiato d’Italia, dopo aver mostrato dalla finestra sul corteo pro-Palestina del 27 gennaio il cartello «Free Gaza from Hamas», Mihael Melnic non ha perso la serenità. La sovrabbondanza di attenzioni, benevole e meno (incluse quelle della Digos), non lo ha messo in imbarazzo né in difficoltà, racconta a mente fresca a Open. Anzi quel gesto iconico lo rifarebbe, e magari lo rifarà davvero nell’altra città della sua vita di giovane startupper, Dublino. Non certo per provocazione, spiega: se mai per spingere le migliaia di ragazzi che dimostrano – in piazza o sui social – a favore della Palestina a «problematizzare» il loro sostegno, ad andare oltre gli hashtag e i partiti presi per cercare invece soluzioni vere al conflitto più intricato del pianeta. «Le persone che riempiono quelle piazze in Italia e in tutta Europa dicono di volere la pace. Do per scontato sia così: ma allora perché non vi si parla mai di Hamas, dei suoi crimini e delle sue responsabilità nei confronti degli stessi abitanti di Gaza oltre che degli israeliani? Finché non si scioglie questo nodo come si fa ad aprire un percorso di pace?».

Gli equivoci della pace

25 anni, nato in Romania da genitori moldavi, cresciuto a Bergamo dall’età di 11 anni, Melnic nella vita di tutti i giorni guida una start-up che si occupa di intelligenza artificiale. Fa la spola tra Milano e Dublino, tra una parentesi e l’altra del lavoro studia filosofia e segue con passione la politica internazionale. «Sicuramente il mio retroterra e il mio vissuto mi hanno reso più sensibile a quelle questioni, ma in primis c’entra il mio carattere». A suo agio sui social, Melnic ne coglie però anche limiti e pericoli, specie quando il ticchettare e lo scrollare incrociano questioni politico-culturali incendiarie. «Il movimento pro-Palestina è un movimento estremamente attivo, particolarmente sui social: cosa non negativa di per sé, ma che spesso fa sì che si crei il sentimento di non poter esprimere un parere diverso sull’argomento che non sia l’adesione allo slogan #FreePalestine», sostiene Mihael «Cosa implica esattamente quella parola d’ordine? From the River to the Sea? (la riconquista palestinese di tutte le terre tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, ossia la cancellazione di Israele, ndr)? Oppure la soluzione a due Stati? O che cos’altro? L’argomento è complesso, ci sono diverse soluzioni e quindi bisogna essere pronti oltre che a sentire propria la sofferenza delle persone che subiscono la guerra anche a pensare a livello pratico: “Ok, come raggiungiamo l’obiettivo che ci prefiggiamo? Come raggiungiamo la pace?”», sostiene Melnic.

Le agorà e il rischio bolla

Divisioni manichee e dibattiti al veleno sono tutt’altro che un’eccezione sui social – oggi sul Medio Oriente, ieri sul conflitto tra Russia e Ucraina che Melnic, giovane moldavo, ha vissuto con almeno altrettanti coinvolgimento e preoccupazione. Ma se le generazioni più adulte sono cresciute in un mondo diverso, per i coetanei della Generazione Z le agorà digitali sono le aree di confronto e scontro “native”, ragion per cui l’appello dello startupper a maneggiare con cura l’impegno e le cause cui si sceglie di aderire è più ampio e generale. «Sicuramente è un aspetto positivo che i ragazzi sentano di voler e di poter partecipare ed esprimere la propria opinione – riflette Melnic con Open – ma dall’altra parte dobbiamo creare uno spazio, un contesto in cui siamo pronti a sentire persone che magari hanno il nostro stesso obiettivo ma pensano che ci si possa arrivare in modi diversi. Quindi sì, scendiamo in piazza; sì, esprimiamo il nostro parere anche su argomenti legati a questioni lontane – è il suo richiamo – però siamo anche aperti alla conversazione e a sentire altri punti di vista e opinioni». Diversità di punti di vista cui si è sottoposto gioco forza lui stesso, d’altra parte, negli ultimi sette giorni: anche ricevendo attacchi spesso più surreali che offensivi. «Tra tutte le cose che mi hanno scritto, quella che mi ha fatto più ridere è stata l’accusa di essere un “borghese che studia alla Bocconi”». Nulla di più lontano dalla realtà, sorride Mihael, ma va bene così: «Sono giovane, conosco bene i social, e so che lì la gente dice cose che non direbbe mai nel mondo reale».

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