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L’inventore della città dei 15 minuti, Moreno: «Mettere al centro gli esseri umani, non le auto: chi parla di complotti vuole solo strumentalizzare» – L’intervista

04 Febbraio 2024 - 17:21 Antonio Di Noto
Il primo promotore del modello adottato - tra le altre - da Milano, Roma e Parigi riflette sui dettagli e la politicizzazione della sua idea

Utopia per alcuni, complotto per altri, obiettivo realizzabile e necessario per il suo primo promotore, il ricercatore, professore e direttore della cattedra per l’Imprenditoria, il Territorio e l’Innovazione all’Università Sorbona di Parigi, Carlos Moreno. Alla base della Città dei 15 minuti, c’è l’idea di rendere ogni quartiere urbano il più autosufficiente possibile, in modo che tutti i suoi abitanti possano raggiungere parchi, uffici, negozi, ospedali, percorrendo distanze minime emettendo basse emissioni di carbonio – un quarto d’ora a piedi o in bici nelle aree più dense. Si potrebbe pensare che tutto ciò passi da esclusivamente una velocizzazione dei trasporti, ma la via maestra indicata da Moreno è quella della densificazione, dell’accessibilità, e della democrazia dello spazio. Concetti espressi nel suo libro La Città dei 15 Minuti, per una cultura urbana democratica (Add editore), abbracciati in Italia dalle giunte di Milano e Roma, e approfonditi in questa intervista ad Open.

La città dei 15 minuti è all’apparenza un concetto temporale. Tuttavia, nel libro si parla di luoghi piuttosto che di tempi. Piazze accessibili, densità, edifici e strade. 

«La città dei 15 minuti è innanzitutto un concetto spaziale. Infatti, quello che dobbiamo fare è trasformare il nostro spazio pubblico e il nostro stile di vita in modo da rendere i due più resilienti al cambiamento climatico, che è la più grande sfida per l’umanità in questo momento. I 15 minuti rappresentano la necessità di concentrarsi sulla prossimità, sulle attività – anche lavorative – locali, in modo da creare valore aggiunto a livello locale. Il primo passo che dobbiamo compiere per arrivare a questo obiettivo è offrire più spazio a persone a piedi e in bici nelle nostre città, riducendo il dominio dell’auto privata. Molti, me compreso, si sono resi conto dell’impatto di questa cosa più che mai nel corso del lockdown». 

Un cambiamento radicale può fare paura. Quali misure possono implementare le città per avvicinarsi a questo modello senza cambiamenti drastici?

«A Parigi, ad esempio, la sindaca Anne Hidalgo ha implementato una misura chiamata rues aux écoles. Le strade di fronte alle scuole diventano uno spazio per i bambini e per i ragazzi dove le auto non possono entrare. La città ha trasformano così in giardini urbani 180 strade della città rendendo le scuole più accessibili per tutti. I sondaggi ci dicono che l’80% dei parigini è d’accordo con questa misura. Abbiamo anche deciso che i cortili delle scuole devono rimanere aperti al pubblico durante i fine settimana per offrire quello spazio a bambini, ragazzi e genitori. Vengono organizzati mercatini, esposizioni artistiche, scambi di libri».

LE PARISIEN / Strada scolastica a Parigi

«Dobbiamo creare città dense usando lo stesso spazio in più modi. Un concetto noto come chronotopia. Così, a Parigi gli edifici comunali vengono usati per ospitare i senzatetto durante l’inverno, e i cinema possono essere usati per conferenze e convegni. Queste sono cose che possono essere fatte in ogni città del mondo, comprese Milano e Roma. Entrambe hanno adottato l’idea della Città dei 15 minuti per implementarla. Lo stesso stanno facendo numerose città del C40 – la rete globale di sindaci delle principali città del mondo che sono uniti nell’azione per affrontare la crisi climatica – e dell’UCLG: L’Unione delle Città e dei Governi Locali (in inglese United Cities and Local Governments). 

Il Comune di Bologna ha deciso di abbassare il limite massimo di velocità a 30 km/h sulla maggior parte delle strade cittadine. Successivamente, il ministero ha fatto ingerenza nella decisione, contestandola e diramando delle nuove linee guida. Cosa ne pensa? Secondo lei, Città 30 e Città dei 15 minuti possono coesistere?

«Come dice la mia amica Saskia Sassen [sociologa ed economista statunitense nota per le sue analisi sulla globalizzazione, ndr], la città è la forma di organizzazione territoriale più longeva sulla Terra. Più degli Stati, degli imperi, più delle regioni. Credo che i cittadini dovrebbero essere più vicini agli amministratori. Quindi una decentralizzazione della catena decisionale sarebbe la cosa migliore se si vuole migliorare la qualità della vita nelle città. Un’amministrazione locale ha un’idea più chiara delle necessità locali. Bologna la conosco bene. La Città 30 e la Città dei 15 minuti hanno lo stesso obiettivo: promuovere la sicurezza, la salute, l’economia locale, il lavoro locale e un’economia circolare a circuito breve. La mossa di Bologna è giusta perché permette di sviluppare più spazi pubblici per le persone, più interazioni sociali, quartieri più vivaci e fiorenti e, naturalmente, ridurre le emissioni di CO2. Ed è giusto chiedersi quale sia il ruolo dell’auto in questo contesto». 

«D’altronde, le ricerche e le esperienze sono tutte a supporto di Città 30. Quando si lascia spazio alle persone di muoversi a piedi e in bici, ci guadagna l’economia locale dei piccoli commercianti – le persone fanno shopping, non le auto – e ci guadagna anche la salute delle persone, che fanno più facilmente l’attività fisica necessaria per mantenersi sane. In molte città europee, oltre il 50% degli spostamenti che avvengono in auto è lungo meno di 5km. Una cosa terribile. Rendere una città democratica significa anche non costringere le persone a guidare se non è necessario. Non tutti possono guidare e non tutti possono permettersi un’automobile».

Nonostante i dati dicano il contrario, molte persone temono che la loro vita verrà rallentata da Citta 30, che arriveranno tardi a lavoro, e che il traffico aumenterà. Come mai?

«Un secolo fa le auto hanno iniziato a farsi strada nelle nostre città. All’inizio i cittadini e le amministrazioni erano riluttanti a causa dei gravi problemi di sicurezza che comportano. Ma grazie a pressioni, promesse di miglioramenti dell’economia, lobby e persino di corruzione, le industrie automobilistiche hanno convinto gli amministratori a trasformare le città in modo che tutto lo spazio disponibile fosse dedicato alle auto. Le strade sono state costruite, modificate e allargate fino alla situazione odierna: la città gira intorno alle quattro ruote. Il risultato è che viviamo in città inquinate e irrespirabili, dove centinaia di migliaia di persone muoiono ogni anno a causa delle polveri sottili e in cui le persone non hanno spazio per vivere, stare assieme e tenersi in salute. Dobbiamo cambiare questo paradigma perché è basato su un modello obsoleto. Dobbiamo rigenerare le nostre città per mettere al centro gli esseri umani, non le auto». 

FACEBOOK / MILANO SPARITA E DA RICORDARE | Corso Buenos Aires poco prima di incontrare viale Tunisia in una foto del 1910 circa.
GOOGLE MAPS / Lo stesso tratto di strada come appariva a giugno 2022. Si nota come lo spazio prima dedicato a tutti – con marciapiedi e verde pubblico – sia ora appannaggio quasi esclusivo delle auto. Rimossi anche i tram.

Eppure tutto ciò è diventato una questione politica e addirittura una teoria del complotto. C’è chi crede che la Città dei 15 minuti sia un tentativo di confinare la gente nei propri quartieri. 

«Ho seguito la nascita di queste reazioni e non hanno senso di esistere. Mai nella mia vita ho proposto un lockdown climatico; mai ho proposto di far vivere le persone costrette nei loro distretti, mai ho proposto multe in base agli spostamenti. Qualcuno addirittura pensa che abbia detto di voler impiantare microchip nella testa delle persone. Si tratta di stupidaggini. Ma il vero problema è che queste teorie sono alimentate dalle destre in modo da manipolare le persone e trarne un vantaggio politico. Cionondimeno, rimangono stupidaggini insensate».

ANSA / Regno Unito. Proteste contro la Città dei 15 minuti

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