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«Ragazzi normali, lavoravano, è uno shock»: chi sono i sette giovani egiziani accusati di aver stuprato una 13enne a Catania

catania 13enne stuprata cittadini egiziani chi sono
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Due maggiorenni in arresto e due minori affidati a un centro. Oggi la convalida della misura cautelare

I sette cittadini egiziani accusati di aver stuprato una ragazzina di 13 anni davanti al fidanzato a Catania sono arrivati in Sicilia tra il novembre del 2021 e il marzo del 2023. Hanno raggiunto tutti l’isola da minorenni, affrontando il viaggio con un barcone. Non potendo essere espulsi a causa della minore età, sono finiti nei centri per minori stranieri non accompagnati. Due di loro starebbero collaborando all’inchiesta. Intanto due maggiorenni sono stati arrestati e due minori affidati a un centro precauzionale. Per oggi è prevista l’udienza di convalida della misura cautelare. Ma intanto gli operatori delle strutture li definiscono come ragazzi «normali» e «con un approccio relazionale sano». E che sono in contatto con le loro famiglie in Egitto.

I bagni di Villa Bellini

Secondo la testimonianza della ragazzina e del fidanzato la violenza sessuale si è svolta nei bagni di villa Bellini la sera del 30 gennaio. Due ragazzi del gruppo (quelli oggi in custodia cautelare) l’avrebbero violentata mentre gli altri sarebbero rimasti a guardare. Bloccando però il fidanzato che voleva intervenire e obbligandolo ad assistere allo stupro. La vittima ha confermato nei giorni scorsi le accuse nei confronti di uno dei suoi aguzzini. Ieri, 4 febbraio, avrebbe riconosciuto anche un secondo ragazzo: «È lui. Voglio solo giustizia», ha detto ai carabinieri. Il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita ha detto di non aver visto in lei sentimenti di rivalsa o vendetta. «Ogni tanto mi diceva “Stai buona”. Io urlavo: “Vi prego, vi imploro, non fatemi del male”. Poi è entrato l’altro. Era violento, mi stringeva, mi strattonava». La ragazza dice anche che il ragazzo che sta collaborando con i magistrati ha partecipato allo stupro.

Il Dna

Anche il secondo Dna trovato sugli abiti della vittima appartiene a uno degli arrestati: l’ultimo. La pubblica ministera Anna Tranchillo ha in mano i risultati dei Ris, mentre le telecamere della villa non sono entrate in funzione. Il Corriere della Sera racconta che i ragazzi accusati erano ben inseriti nella comunità: «Due lavoravano nell’edilizia. Uno faceva un tirocinio. Il ragazzo che ha collaborato con gli inquirenti ha 19 anni. La sua prima casa in Italia è stata proprio la struttura d’accoglienza dove ha frequentato corsi di italiano e dove avrebbe dovuto cominciare a breve i laboratori formativi per il tirocinio. I ragazzi delle strutture vengono generalmente indirizzati in aziende che si occupano di edilizia, ristorazione o turismo. Era in attesa di ricevere un permesso studio-lavoro.

I permessi di soggiorno

Il tribunale di Catania aveva dato parere favorevole sul rilascio. Un altro accusato era arrivato in comunità solo da qualche mese. Era titolare di una misura di lungo periodo per l’integrazione. «Quel che è accaduto ci ha sconvolti», racconta al quotidiano l’avvocata Angela Pennisi, responsabile Area legale immigrazione della comunità. «Il ragazzo mantiene il legame con la sua famiglia di origine, ha partecipato alle attività della parrocchia e di animazione e ai laboratori di fotografia. È un giovane che ha mostrato sempre desiderio di impegnarsi, dando buoni riscontri. Lo definirei una persona dolce», ha concluso. L’altro, quello che ha collaborato, «è sotto shock. Solo ora ha compreso la gravità di quel gesto».

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