Tutte le fake news di Putin non smentite da Tucker Carlson durante l’intervista
L’intervista di Tucker Carlson a Vladimir Putin è stata pubblicata sul suo sito e su Twitter/X poco dopo la mezzanotte (ora italiana). Il controverso giornalista americano, annunciando l’evento, ha diffuso una fake news presentandosi al pubblico come l’unico giornalista occidentale ad aver voluto intervistare il leader russo per raccontare agli americani una presunta verità sul conflitto in Ucraina. Oltre ad aver mentito e diffuso un pensiero di sfiducia nei confronti del giornalismo occidentale, Vladimir Putin ha ottenuto la possibilità di ribadire la propaganda del Cremlino, nota fin dal 2014 a oggi, senza essere smentito o contraddetto. In nessun caso, Carlson si è rivolto a Putin in merito ai crimini di guerra contestati, come quelli della strage di Bucha. Al contrario, ha permesso al leader russo di elogiare il sistema missilistico russo senza tirare in ballo le morti dei civili ucraini.
La premessa di Carlson
Nel corso di un monologo che introduce l’intervista, Carlson racconta agli spettatori le sue impressioni su come Putin abbia risposto, per quasi mezz’ora, alla prima domanda riguardante le motivazioni che lo avrebbero portato a invadere l’Ucraina nel febbraio 2022. Dichiarandosi inizialmente «scioccato» e riportando i suoi presunti sospetti su una «tecnica di ostruzionismo» da parte dell’intervistato, cambia idea e descrive l’intervento di Putin come «sincero, che siate d’accordo o meno», portando gli spettatori a prendere per buone le sue parole. Il leader russo non si è trovato di certo intimorito dal giornalista, sbeffeggiandolo un suo presunto tentativo di unirsi alla Cia («Dobbiamo ringraziare Dio che non ti hanno fatto entrare») e facendogli intendere fin dall’inizio di voler seguire una sua “scaletta” («Stiamo facendo un talk show o una conversazione seria?»). L’unico momento critico riguarda il caso del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich chiedendone la liberazione, ovviamente negata facendo intuire una soluzione: la liberazione di un sicario russo dal carcere in Germania.
I presunti “colpi di Stato” in Ucraina
Vladimir Putin ribadisce una teoria della propaganda russa nota al pubblico occidentale, quella dell’inesistente “colpo di Stato” nel 2014 in Ucraina. Nell’intervista, tuttavia, racconta di un altro presunto “golpe” nel 2004, quando il filorusso Viktor Yanukovich venne sconfitto durante le elezioni presidenziali da Viktor Juscenko. Carlson, sentendo questa storia, domanda a Putin se i fatti risalissero al 2014, dimostrando una scarsa conoscenza del tema trattato.
Nel 2004 ci furono tre votazioni per l’elezione del presidente ucraino. Viktor Yanukovich, all’epoca primo ministro, risultò vincitore al secondo turno, ma il voto venne contestato dagli sconfitti. La Corte Suprema dichiarò l’elezione non valida, confermando le accuse di brogli elettorali e ordinando la ripetizione del voto, che vide vincente Yushchenko. Secondo Putin, quella terza votazione non sarebbe stata accettata nemmeno negli Stati Uniti perché “non prevista dalla Costituzione americana”. Carlson ha seguito l’affermazione del leader russo senza contestarlo, nonostante lo stesso conduttore sia noto per aver alimentato attraverso palesi fake news le accuse di presunti brogli elettorali durante le elezioni del 2020 negli Stati Uniti.
Putin afferma che Viktor Yanukovich non avrebbe «utilizzato né le forze armate, né la polizia» durante le proteste dell’opposizione del 2014 «come richiesto dagli americani». Ciò non corrisponde al vero, in quanto nel corso della rivoluzione popolare sono ben documentati gli interventi della polizia antisommossa ucraina Berkut. L’unità venne accusata di vari crimini contro i civili ucraini e successivamente sciolta per decreto.
Secondo Putin, l’invasione dell’Ucraina non è colpa della Russia
Secondo Putin, sarebbe stata l’Ucraina a «iniziare la guerra nel 2014» a seguito della caduta di Yanukovich, minacciando la Crimea e lanciando l’intervento militare nel Donbass. L’intervento del 2022, dunque, sarebbe una forma da parte della Russia di fermare il conflitto “voluto da Kiev”. Sostiene, inoltre, che dopo il presunto “colpo di Stato” avrebbe «ripetutamente proposto di cercare una soluzione» con «mezzi pacifici».
I fatti storici dimostrano invece che il conflitto venne avviato proprio dalla Russia, la quale inizialmente negò il suo intervento. Nel 2014, poco dopo la fuga di Yanukovich, le truppe russe denominate “omini verdi” entrarono in Crimea occupando irregolarmente la penisola. Successivamente, i separatisti filorussi presero possesso dei palazzi governativi delle regioni del Donbass di Lugansk e Donetsk, avviando il conflitto armato con Kiev. Secondo quanto emerso durante il processo sulla strage del volo MH17 nel 2014, la Corte dell’Aja ha affermato senza alcun dubbio che la Federazione russa controllava le forze separatiste del Donbass. La sentenza ha chiaramente indicato che quello nella regione è un “conflitto internazionale”, contrariamente alla definizione di “guerra civile” portata avanti dalla propaganda russa. Nonostante ciò, Carlson non interviene, permettendo al leader russo di raccontare una versione dei fatti non corrispondente alla realtà.
La fantomatica “denazificazione”
Carlson, dichiarandosi ignorante, domanda a Putin cosa intenda per «denazificazione dell’Ucraina». Putin, a quel punto, si trova nella condizione di descrivere nuovamente un altro cavallo di battaglia della propaganda russa, come dimostrato dalle numerose fake news diffuse contro gli ucraini e Zelensky dal 2014 ad oggi. Infine, sostiene che durante le negoziazioni di Instanbul avrebbe chiesto all’Ucraina di vietare per legge il nazismo, ignorando che questa norma esiste fin dal 2015 ed è ben nota a livello internazionale perché vietava allo stesso tempo il comunismo. La legge venne osteggiata anche in Ucraina e sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale che, con sentenza del 2019, la dichiarò legittima e per niente anticostituzionale.
Putin sostiene di aver parlato con Zelensky e di avergli rivolto una domanda sul suo fantomatico sostegno al nazismo: «Ho detto, Volodymyr, cosa stai facendo? Perché oggi sostieni i neonazisti in Ucraina mentre tuo padre combatteva contro il fascismo? Era un soldato in prima linea. Non ti dirò cosa ha risposto». C’è un problema: Oleksandr Semenovych Zelensky, padre del leader ucraino Zelensky, è nato nel 1947, due anni dopo il conflitto.
Non è la prima volta che viene presentata un’accusa infondata di nazismo nei confronti dei politici non vicini al Cremlino. Viktor Juscenko venne definito “nazista” dal suo avversario Viktor Yanukovich durante la campagna elettorale del 2004, nonostante il passato della sua famiglia: il padre, soldato dell’Armata Rossa, imprigionato nei campi di concentramento, mentre sua madre avrebbe protetto tre ragazze ebree durante la seconda guerra mondiale.
Il caso Evan Gershkovich e il sicario russo
L’unico momento in cui Tucker Carlson sembra voler incalzare Putin riguarda la detenzione di Evan Gershkovich, giornalista del Wall Street Journal, insistendo per una sua liberazione. Putin non è d’accordo, sostenendo che Evan sia stato identificato in quanto spia straniera in territorio russo. Il leader russo afferma che in Occidente ci sarebbe qualcuno accusato ingiustamente di essere collegate ai servizi del Cremlino. Il riferimento è al sicario russo Vadim Krasikov, incarcerato in Germania per aver ucciso una persona in pieno giorno nel centro di Berlino.
Putin descrive Vadim Krasikov come un «patriota» che «per sentimenti patriottici, eliminò un bandito in una delle capitali europee». Il suo merito, secondo il leader russo, sarebbe quello di aver ucciso una persona ritenuta colpevole di aver compiuto dei massacri nel Causaso contro i soldati russi.
Come riportato dal giornalista bulgaro Christo Grozev, principale investigatore russo di Bellingcat, il cognato di Vadim Krasikov ha dichiarato con certezza che fosse un membro effettivo del servizio FSB russo. Nel racconto, Alexander V. (il cognato) sostiene che Krasikov si sarebbe diplomato nella scuola militare di Ryazan per poi essere inviato in Afghanistan nell’unità Vympel all’epoca controllata dal KGB. Infine, afferma che Krasikov avrebbe ricevuto un premio direttamente dal Presidente russo per un’operazione in Asia centrale.
Non è la prima volta che si parla di uno scambio di prigionieri per liberare il sicario russo Vadim Krasikov. Il Cremlino ci provò nel 2022, proponendo la liberazione dell’ex marine Paul Whelan.
La teoria del Deep State amata dai sostenitori di Trump
Putin accusa la Cia di aver orchestrato il fantomatico “colpo di Stato” nel 2014 in Ucraina. Nel corso dell’intervista, l’agenzia americana viene indicata come la manovratrice degli governi di Washington. Raccontando di una sua proposta militare alla presidenza Bush che sarebbe poi naufragata, senza andare nel dettaglio in quanto la definisce una «conversazione confidenziale», porta Carlson a fargli una domanda molto chiara: «Hai descritto i presidenti degli Stati Uniti prendere decisioni e poi essere indeboliti dai capi delle loro agenzie. Quindi sembra che tu stia descrivendo un sistema che non è gestito dalle persone elette». Putin risponde: «Esatto, esatto». Di fatto, Carlson ha permesso a Vladimir Putin di insinuare negli americani la teoria del complotto del Deep State abbracciata dai sostenitori di Donald Trump. L’operazione viene ribadita anche in un altro episodio, quello in cui Putin sostiene di aver proposto a Clinton di far entrare la Russia nella NATO, ma dopo un primo interesse avrebbe risposto in maniera negativa a seguito di un colloquio con la sua «squadra».
La forzata narrazione storica
Risulta evidente che il leader russo abbia sostenuto con certezza personale che la Russia possa rivendicare i territori occupati e non solo, riportando una versione della storia a partire dall’862 al fine di negare l’esistenza del popolo ucraino, attribuendo un’origine russa precedente a quella di Kiev.
Putin indica come anno di fondazione dello stato russo l’862, ma risulta fuorviante. Tale data riguarda l’arrivo degli scandinavi a Novgorod, come da lui stesso raccontato nell’intervista abbracciando la teoria più accreditata sull’origine vichinga dei Rus’. Da questi prenderà il nome l’ex impero medievale Rus’ di Kiev, che comprendeva gran parte dell’attuale Ucraina, Bielorussia e parte della Russia. Putin cita un’altra data, ossia quella del 988 quando il sovrano di Rus’ di Kiev Vladimir I convertì il popolo di Kiev al cristianesimo ortodosso, diventando una provincia ecclesiastica del patriarcato bizantino. Vladimir il Grande (958-1015 d.c.) viene indicato come fondatore sia dell’Ucraina che della Russia, a seconda delle narrazioni. C’è da dire che la storia di Rus’ di Kiev risale a molto prima della fondazione di Mosca nel XII secolo (1147), così come del principato di Mosca e dell’Impero russo.
Putin descrive l’Ucraina come uno «stato artificiale» di recente creazione, definendo come responsabili in passato Lenin e oggi Stalin nel corso dell’intervista. La sua ricostruzione storica degli eventi per descrivere Kiev come una sorta di costola della Russia non è affatto una novità per i media occidentali. Una versione della storia recente che non coincide, visto che il sentimento nazionale ucraino era già presente nel corso della metà del 1800, non tollerato dallo zar Nicola I, così come si riscontrano opere letterarie in lingua ucraina fin dal 1794, attraverso pubblicazioni come l’Eneide travestita dello scrittore Ivan Petrovyč Kotljarevs’kyj.
Come riportato da Giorgio Cella, in un articolo di Limes dell’aprile 2022, «Putin vuole passare alla storia come il leader russo che ha riportato l’antica terra della Rus’ di Kiev, o parte di essa, nell’orbita di Mosca. Si tratta di forzate chiavi di lettura che, la storia ci ricorda, hanno spesso avuto risvolti esiziali». La narrazione di Putin potrebbe essere paragonata a una forzata pretesa dell’Italia nel ridisegnare i propri confini con i Paesi confinanti in base alle conquiste dell’Impero romano.
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