Torino, caso Di Vella. Il racconto delle studentesse: «Ho iniziato a prendere psicofarmaci per le molestie»
Continua a gonfiarsi il caso dell’Università di Torino, dove Giancarlo Di Vella, professore all’università di Torino ed ex direttore della scuola di medicina legale, è finito agli arresti domiciliari per violenza sessuale. Il quadro si arricchisce oggi del racconto, pubblicato dal Corriere della Sera, di alcune studentesse che hanno rivelato gli stratagemmi adottati per sfuggire alle molestie. Agli sguardi lascivi, alle mani che si allungavano a cingere i fianchi o indugiavano su quelle «parti del corpo lasciate scoperte dal camice». Atteggiamenti dai quali era difficile sottrarsi, come ha spiegato un’ex allieva: «Temevo mi rovinasse la carriera, era il mio professore». «Ho cominciato a prendere psicofarmaci per superare quel periodo», ha confessato un’altra ragazza.
«Mai rimanere sola con lui»
Una terza ha ammesso: «Cercavo di non rimanere da sola con lui». Per esempio: «La sera cercavo di non trattenermi in istituto, come facevo prima». Oppure, come raccontato da un’altra ragazza: «Chiedevo a un amico di accompagnarmi quando dovevo andare nel suo ufficio». Qualcun’altra invece faceva in modo di «non camminargli davanti», dal momento che il docente durante le autopsie si sarebbe appoggiato su di loro, cingendo i fianchi, o avrebbe provato a rubare baci. Senza contare i commenti inopportuni nel corso delle lezioni: «Quanto è fortunato il tuo fidanzato». E ancora «Che bella biancheria che indossi». Aggressioni che venivano accompagnate dalle minacce: «Mi ha detto che mi avrebbe rovinato la carriera», «mi disattivò le chiavi per accedere alla scuola», hanno raccontato alcuni studenti.
Le accuse
Non ci sono state querele contro il professore, ma la Procura di Torino sostiene che cinque allieve avrebbero subito le presunte attenzioni morbose. Mentre altre 6 avrebbero stravolto la loro quotidianità per proteggersi. Le accuse al carico del docente vanno dallo stalking alla violenza sessuale, passando per le minacce. Il caso è esploso quando i carabinieri del Nas di Torino hanno iniziato a indagare perché non quadravano i conti delle autopsie svolte, e si sono imbattuti in questo fiume di racconti che da tempo circolava nell’Università. Per questo il docente è accusato anche di falso, per aver registrato un numero di autopsie maggiore rispetto a quello reale. Il professore si difende, nega e, attraverso il proprio legale Marino Careglio, si dice «amareggiato» e convinto «di poter dimostrare la propria innocenza».
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