L’Italia aumenta le spese militari, ma non abbastanza per Trump: così dal 2025 rischia di restare senza protezione Nato – I dati
Non era una battuta, un innocuo ricordo o un divertissement, quello di Donald Trump, che nel weekend ha fatto correre di nuovo un brivido sulla schiena degli europei riportando alla luce una sua conversazione del recente passato col leader di un non meglio identificato Paese Nato: «Non avete pagato? E allora no che non vi proteggeremo. Anzi, facciano di voi quel che diavolo vogliono» (i russi, sottinteso), ha rivendicato di aver detto il tycoon in un comizio in South Carolina. Che non si trattasse di una semplice provocazione per scaldare il suo pubblico, ma di un vero piano che Trump medita di mettere in opera nel caso – ad oggi preminente – di un prossimo ritorno alla Casa Bianca, lo dimostrano non solo i documenti riemersi dal suo passato (già nel 1987 l’allora businessman comprò un’intera pagina su tre dei principali quotidiani Usa per chiedere che l’America «smetta di pagare i Paesi che possono permettersi di difendersi da soli»), ma anche la “traduzione” in termini operativi delle sue battute fatta nelle ultime ore da uno dei suoi più stretti consiglieri. Se uno dei 31 membri della Nato non raggiunge l’obiettivo concordato del 2% del Pil almeno in spese militari, a quel Paese non dovrebbero più applicarsi le protezioni previste dall’Articolo 5 del Trattato Nato, ha detto alla Reuters Keith Kellogg, generale in pensione che oggi consiglia Trump sui temi della sicurezza nazionale. L’articolo 5 è il fondamento dell’Alleanza militare: quello che stabilisce che un attacco contro uno qualsiasi dei suoi membri equivale a un attacco contro tutti, vincolando la Nato a intervenire automaticamente in suo soccorso. «Da dove io provengo, le alleanze contano. Ma se vuoi farne parte, contribuisci», ha chiosato lapidario Kellogg, indicato come possibile membro della prossima amministrazione Usa in caso di vittoria di Trump.
February 12, 2024
Dalle parole ai fatti
Di fatto, se la «dottrina Kellogg» diventasse davvero l’agenda di Trump – che ha detto più volte di voler rivedere in profondità la Nato, se non proprio uscirne – ciò significherebbe ad oggi che 20 dei 31 Paesi Nato resterebbero senza quel’«ombrello di sicurezza» sotto al quale si sono riparati dalla fine della Seconda guerra mondiale. La fine di un mondo. L’inizio di un altro. Minacce? Parole al vento? Tecniche negoziali da duro per «estorcere» risultati politici, come da manuale di palestra del (suo) modo di fare business? Può darsi. Ma sarebbe impossibile per i governi europei non tener conto della marea montante anti-Nato della campagna di avvicinamento al voto di Trump. Che le promesse fatte ai suoi elettori – per quanto surreali e azzardate – ha già dimostrato in passato di volerle mantenere ad ogni costo. Neppure i governi che si prospettano in linea teorica più vicini alla futuribile amministrazione Trump possono scansare con sufficienza lo scenario di un abbandono militare più o meno completo e subitaneo, considerato che al netto delle simpatie politiche l’ex presidente ha detto più volte a chiare lettere che di spendersi (e spendere) per la vecchia Europa, a lui e alla sua America, non interessa più. Valutazioni inevitabili, dunque, anche per il governo di Giorgia Meloni e per gli apparati di difesa italiani.
Cosa rischierebbe l’Italia
A Trump – e per la verità non solo a lui, vista l’insistenza sul punto negli ultimi anni di quasi tutte le amministrazioni Usa – interessano i fatti e i numeri, non le chiacchiere. Cosa rischierebbe dunque l’Italia, dati alla mano? Parecchio, almeno virtualmente. Già perché a scapito di un progressivo aumento delle spese militari nel corso degli ultimi anni l’Italia resta oggi lontana anni luce dall’obiettivo Nato di cui gli Usa pretendono il rispetto: quello del 2% almeno del Pil di ciascun Paese. Dei 31 Paesi membri dell’Alleanza, solo sei investono meno del nostro Paese in proporzione al reddito nazionale: Canada, Slovenia, Turchia, Spagna, Belgio e il minuscolo Lussemburgo. E ciò nonostante i governi italiani succedutisi negli ultimi dieci anni siano stati del tutto sordi alle sirene Usa. Dal 2014 ad oggi, secondo i dati della stessa Nato, la spesa militare italiana è aumentata di quasi il 50% a prezzi costanti: poco più di 20 miliardi l’anno nel 2014, oltre 28,5 nel 2023. In termini proporzionali, significa una crescita dall’1,14 all’1,46% del Pil. Bene ma non benissimo, visto in ottica Usa. Perché nello stesso periodo – e in maniera esplosiva nell’ultimo biennio, dopo l’invasione russa dell’Ucraina – altri Paesi europei hanno fatto passi in avanti di ben altra entità.
Si salvi chi può
La Polonia, per dire, è passata da 8,5 a quasi 25 miliardi d’investimenti in 10 anni (superando in proporzione perfino i “maestri” Usa, con uno stellare 3,9% del Pil in difesa). Hanno rapidamente centrato e superato il target di spesa del 2% pure tutti gli altri Paesi confinanti o più vicini Russia di Putin – i tre baltici e la Finlandia, ma anche l’Ungheria del “recalcitrante” Orbán, la Romania e la Slovacchia. Sarebbero questi, se la dottrina Kellogg entrasse in vigore domani, i Paesi che si «salverebbero» dalla scure di Trump – insieme alla Grecia, che un budget ben superiore al 2% del Pil ce l’ha da tempi non sospetti per altre ragioni (i timori di un conflitto con la Turchia, peraltro essa stessa membra Nato). Unica «consolazione» per l’Italia: a restare potenzialmente senza la garanzia dell’ombrello di difesa americano resterebbero con lei anche gli altri più grandi Paesi dell’Ue: la Francia, che nonostante le ambizioni diplomatiche, le capacità nucleari e un bilancio di ben altre dimensioni impegna risorse leggermente inferiori al 2% del Pil (1,9%); la Germania, che nonostante il “risveglio” degli ultimi anni si ferma in termini percentuali poco sopra l’Italia (1,57%); e la Spagna, anch’essa in tragitto di progressiva crescita ma lontanissima dal target (1,26%).
Scenari di oggi (e di domani)
Certo, non a caso quegli stessi Paesi sono quelli che sentono meno imminenti o pressanti minacce militari (gli unici confini Ue esterni che hanno sono quelli marittimi). Ma gli scenari, ha insegnato l’ultimo biennio, sono in continua evoluzione, e restare senza garanzie di difesa è un segnale ai nemici potenziali che nessuno Stato vorrebbe dare. E d’altra parte l’unica volta nella storia in cui l’articolo 5 della Nato è stata davvero attivato fu a seguito non di un’aggressione militare «classica» – del tipo di quella subita dall’Ucraina e oggi temuta da altri Paesi est-europei – ma del più sorprendente attacco terroristico della storia contemporanea (almeno fino al 7 ottobre): quello al cuore dell’America stessa dell’11 settembre. «Gli alleati europei stanno spendendo di più, stiamo facendo molti progressi», ha provato a parare il colpo della scure di Trump il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, annunciando stamattina che secondo le proiezioni dei suoi uffici altri sette Paesi nel corso del 2024 – prima dell’arrivo del potenziale ciclone politico Usa – si metteranno in pari col target del 2%. Passerebbero da undici a diciotto, se così fosse, ribaltando se non altro gli equilibri di “maggioranza” tra i membri dell’Alleanza. Stoltenberg non ha precisato quali sarebbero i Paesi in procinto di allinearsi all’obiettivo di spesa (impossibile comunque, dati alla mano, l’Italia sia uno di questi). Ma ha ribadito anche una volta in più l’esortazione a chi ancora è indietro a centrare l’obiettivo “minimo” ribadito solennemente lo scorso luglio al vertice di Vilnius. Basterà a calmare i furori pre (e soprattutto post) elettorali di Trump?
Foto di copertina: L’allora presidente Usa Donald Trump riceve a Washington il capo dello Stato italiano Sergio Mattarella – 16 ottobre 2019 (EPA / Michael Reynolds).
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