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Studenti della Bocconi sospesi per commenti transfobici. L’autore della denuncia: «Spero che serva da monito» – L’intervista

15 Febbraio 2024 - 17:34 Ygnazia Cigna
«Dopo aver fatto coming out, ho avuto difficoltà a usare i bagni in università», racconta Samuele Appignanesi che spiega l'iniziativa dei bagni gender neutral promossa dall'università milanese finita al centro delle polemiche a causa di commenti sui social

Si chiama Samuele Appignanesi e ha 22 anni lo studente che per primo ha segnalato all’Università Bocconi di Milano i commenti offensivi circolati sui social dopo l’introduzione dei bagni gender neutral, costati la sospensione a tre studenti. È al quarto anno di Giurisprudenza presso l’ateneo milanese ed è presidente di “Best Bocconi”, un’associazione studentesca impegnata nella lotta per l’uguaglianza di genere, per i diritti lgbtqia+ e per i diritti delle persone disabili. Lo scorso settembre, l’Università ha introdotto i bagni neutri per le persone trans e non binary. «Eravamo felici dell’iniziativa e come Best Bocconi abbiamo deciso di realizzare, assieme ad altre realtà universitarie, un video per mostrare dove fossero questi bagni. Sotto il post, però, sono spuntati una serie di commenti discriminatori contro le persone trans e disabili». Così Samuele inizia a raccontare a Open com’è iniziato il caso che sta scuotendo una delle università più rinomate d’Italia.

I commenti

Frasi come «Li puoi letteralmente usare per andare a trans» o «Se hai il pesce resti un maschio. E vai nel bagno adatto» sono solo un esempio dei commenti incriminati. Sebbene ora siano stati cancellati, hanno fatto in tempo ad arrivare sul tavolo della commissione disciplinare della Bocconi. E dopo un’attenta valutazione, l’ateneo ha deciso di sospendere gli studenti responsabili per ben sei mesi. «Sapevo che potevano rientrare nei comportamenti punibili dall’università perché contrari all’Honor Code Bocconiano, che norma principi e regolamenti a cui dobbiamo attenerci noi studenti e quindi ho deciso di segnalarli a chi di competenza nell’ateneo», spiega Appignanesi. «Gli studenti responsabili sanno cosa hanno scritto e perché sono stati puniti. Spero che questo serva da monito: l’odio ha delle conseguenze», chiosa.

La storia di Samuele come studente transgender

Samuele è coinvolto in prima persona su quanto accaduto. Non solo per essere stato lo studente da cui è partita la segnalazione, ma in quanto ragazzo transgender che quotidianamente vive e attraversa gli spazi dell’università: aule, corridoi e bagni universitari. «Dopo aver fatto coming out, ho avuto difficoltà a usare i bagni in università. Nei bagni degli uomini spesso mi hanno guardato male e fatto dei commentini. E anche nei bagni delle donne mi sentivo fuori luogo», confida il 22enne. «E l’unica soluzione che mi sono trovato davanti per evitare il disagio è stato non usare più i bagni universitari. Poi ho deciso di segnalare la questione all’università e sono intervenuti». A suo dire, è stato un passo significativo per l’ateneo: «In questo modo ci hanno mandato un chiaro segnale, dimostrando di essere sensibili alle esigenze degli studenti e delle studentesse transgender».

«È anche una questione di sicurezza: le persone trans vengono aggredite nei bagni»

Non solo. La questione si sviluppa anche sul tema della sicurezza. «È – prosegue Samuele – anche un’esigenza di vera e propria sicurezza perché ci sono effettivamente delle persone trans che vengono aggredite nei bagni. A me non è mai successo, ma il rischio è reale e fornire uno spazio adeguato normalizza l’idea che le persone transgender esistono. Oltre a darci la possibilità di prenderci cura di un bisogno naturale senza che questo crei ansia». Sono diverse le discriminazioni e le difficoltà che gli studenti transgender incontrano tutti i giorni. «Prima di tutto dobbiamo confrontarci con i pregiudizi dei nostri colleghi», incalza Samuele. Vale all’università, come a scuola. «Basta pensare a quanto sia fondamentale la carriera alias: se la scuola o l’ateneo non ne sono dotati, i ragazzi e le ragazze trans sono costretti a usare il proprio nome anagrafico, il che è un grande ostacolo e può essere dannoso per la loro salute mentale. Ma – conclude – penso banalmente anche agli spogliatoi nelle scuole, ancora divisi per genere, che creano le stesse problematiche».

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