Il rabbino capo di Roma contro Ghali: «Parlare di genocidio sarebbe un messaggio di pace?». E su Israele-Hamas «basta ambiguità» anche in Vaticano
Non si è esaurita la coda di polemiche post-Festival di Sanremo per l’appello lanciato da Ghali sul palco dell’Ariston nella serata finale a «fermare il genocidio» a Gaza. Quel monito, fatto «suggerire» dallo strano alieno che lo accompagnava durante tutta la kermesse musicale, ha fatto discutere, attratto applausi e condivisioni, critiche e prese di distanza. Così come il testo della canzone dell’artista, Casa mia, che includeva anche i versi implicitamente rivolti a Gaza: «Ma come fate a dire che qui è tutto normale / Per tracciare un confine / Con linee immaginarie bombardate un ospedale / Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane». Oggi, a qualche giorno di distanza, a intervenire sulla vicenda con le sue riflessioni è il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. In una lettera a Repubblica, il leader religioso non lesina critiche a Ghali, ma anche a chi lo ha difeso a spada tratta o s’è addirittura indignato per presunte censure contro la sua libertà di parola. «Il problema non era che lui ne parlasse, ma che non vi fosse alcun contraddittorio e che le sue parole passassero come un messaggio di pace», dice Di Segni dell’appello del cantante a fermare il presunto “genocidio”. «Che invece di pace non è – osserva Di Segni -: è un linguaggio improprio, schierato, che sotto l’apparenza della misericordia e della condanna della guerra mescola le carte in tavola, sovverte la Storia». E quanto al diritto di parola, «certo che ci deve essere: ma l’ente pubblico pagato con le nostre tasse dovrebbero garantirlo a tutti», è l’affondo sulla Rai che non ha previsto alcuna contro-osservazione alla parola rigonfia di rimandi storici sdoganata contro Israele da Ghali.
Quelle ambiguità (anche) in Vaticano
Tra chi ha fatto mostra anche pubblica di aver apprezzato la canzone dell’artista milanese di origini tunisine, c’è stato nei giorni scorsi anche un’eminenza vaticana: il cardinale Gianfranco Ravasi, teologò ed ebraista. Condivisione la sua non esattamente apprezzata dal rabbino capo di Roma: «In una canzone non si possono fare ragionamenti filosofici, ma frasi come “ma qual è casa tua, ma qual è casa mia. Dal cielo è uguale, giuro” che hanno meritato la citazione del cardinale Ravasi su X, usando un po’ di quello spirito critico di cui si parlava prima, sembrerebbero proprio banali». Più in generale, Di Segni continua a essere molto perplesso della postura della Chiesa sul conflitto israelo-palestinese riesploso con inaudita ferocia dal 7 ottobre: «C’è stato un continuo di dichiarazioni e di gesti dei massimi vertici e dall’altra parte una dinamica di appelli, proteste, polemiche, con conseguenti piccoli ritocchi e precisazioni. Ad esempio, a novembre c’è stata una lettera al Papa firmata da 400 esponenti religiosi ebraici, in cui gli si chiedeva una netta condanna del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre, una condanna di coloro che negano il diritto di Israele ad esistere e difendersi, con una chiara distinzione tra il pogrom e l’autodifesa. La risposta si è fatta attendere, è arrivata il 2 febbraio, e accanto a una ferma condanna dell’antisemitismo ha omesso qualsiasi riferimento diretto a Hamas». In definitiva, il rabbino Di Segni condivide la sua inquietudine per l’inseguimento di «luoghi comuni facilmente condivisibili che raccolgono ampi consensi», nonché «slogan e proclami» cui troppi in questa fase si prestano, consapevoli o meno. Anche in ambienti di Chiesa. «Davanti ai drammi e le sofferenze di tutti, lo spirito critico dovrebbe guidarci nel valutare cosa nascondono slogan e proclami, dove c’è una reale volontà di pace, e come poter essere insieme costruttori di pace», lancia la sfida invece il rabbino capo di Roma.
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