Alexei Navalny l’eroe, l’intrappolato, il sopravvissuto. I ritratti nei media del nemico numero uno di Putin
Un eroe, un coraggioso, un ambiguo, comunque qualcuno. Qualcuno in grado di contrapporsi all’inquilino del Cremlino. Alexei Navalny, il più grande oppositore di Vladimir Putin, è morto nella colonia penale sul Mar Artico dove stava scontando la sua pena di 19 anni di carcere per «estremismo». E tanti giornali ed editorialisti, sia in Italia che all’estero ricordano la sua figura. Con chiaro oscuri, e anche con ritratti inediti del dissidente.
Il coraggio, l’eroismo di Navalny e il messaggio all’Europa
«Da eroe ha vissuto, e da eroe è morto», scrive Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. «Ora tenteranno di infangarlo, già lo stanno facendo, la disinformazione russa è molto organizzata e articolata. Diranno che era uno sciovinista, mica un santo. Un estremista, un matto, che aveva pure lui i suoi scheletri nell’armadio, in fondo li hanno tutti, no? Ma non lasciatevi ingannare». E in tanti ricordano appunto il suo coraggio. Il francese Libération non a caso titola “La mort d’Alexeï Navalny, le prix du courage“, il prezzo che il 47enne ha pagato, opponendosi al numero uno del Cremlino in un paese oramai senza democrazia. «Navalny ci ha ricordato che la lotta contro i despoti è affare di tutti e che la resistenza è un dovere», scrive Dov Alfon, editorialista israeliano. «Ora dobbiamo dimostrare di aver ascoltato il suo messaggio. Se tutti gli occhi sono puntati sul presidente Joe Biden per vedere come reagiranno gli Stati Uniti a questa nuova macabra provocazione, l’Europa è la prima a preoccuparsi», spiega.
L’Ucraina, la sua «questione instabile»
David M. Herszenhorn sul Washington Post rielabora in un pezzo già uscito, il punto di vista di Navalny sulla guerra in Ucraina, «una questione instabile», definita dal dissidente russo. «Per Navalny, come milioni di altri russi con radici ucraine, la guerra di Putin è stata una tragedia intrisa di sangue. Lo ha anche messo in imbarazzo politico – costretto a cambiare e chiarire le precedenti dichiarazioni che sembravano negare la nazionalità ucraina mentre sposava l’idea che russi, ucraini e bielorussi sono tutti un unico popolo e che la Crimea, annessa da Putin, era parte integrante della Russia data ingiustamente all’Ucraina da un leader sovietico». Per quanto sia intrappolato in prigione – sottolinea Herszenhorn – Navalny è intrappolato nella sua identità. È inorridito a livello profondamente personale dalla guerra nel paese in cui trascorreva le estati da bambino con i suoi nonni. Sta anche lottando per conquistare posizioni che non lo allontanino dagli elettori russi che spera un giorno lo sceglieranno come presidente russo – un’ambizione sempre più improbabile dato che la sua salute vacilla nella brutale colonia carceraria dove sta scontando una pena di 30 anni». E infine, sul Guardian, Simon Tisdall provoca: «C’è da meravigliarsi che sia morto?». «Questo era il grande talento di Navalny: sopravvivere. È stato continuamente minacciato, arrestato, picchiato e maltrattato, la sua famiglia e i suoi amici intimiditi, i suoi sostenitori molestati e peggio. Ma non si è arreso. Ha continuato ad andare avanti quando molti altri avrebbero scelto il silenzio, l’esilio, la sicurezza. Dopo l’avvelenamento, fu curato in Germania ma poi, sorprendentemente, scelse di tornare in Russia per continuare la lotta», scrive Tisdall.
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