Netanyahu: «Entreremo a Rafah a prescindere dall’accordo sugli ostaggi». L’operazione contro il Libano, le preoccupazioni del G7
Le pressioni internazionali per un cessate il fuoco e il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas dallo scorso 7 ottobre, se anche dovessero portare a un difficile accordo con Tel Aviv, non dissuaderanno il premier Benjamin Netanyahu da una offensiva a Rafah, considerato dal primo ministro l’ultimo baluardo di Hamas nella Striscia di Gaza. «Entreremo a Rafah, dopo lo sgombero dei civili verso zone sicure, a prescindere dall’accordo», ha dichiarato sabato 17 febbraio Netanyahu, «coloro che vogliono impedirci di agire a Rafah in pratica ci dicono di perdere la guerra. Così ho detto anche al presidente Biden. Solo una pressione militare forte e trattative determinate porteranno al ritorno degli ostaggi». Al termine della riunione dei ministri degli Esteri del G7 a Monaco, è stata diffusa una nota in cui si chiede «un’azione urgente per affrontare la catastrofica crisi umanitaria a Gaza, in particolare la difficile situazione di 1,5 milioni di civili che si rifugiano a Rafah», e si esprime «profonda preoccupazione per le conseguenze potenzialmente devastanti sulla popolazione civile di un’ulteriore operazione militare su vasta scala da parte di Israele in quella zona». Nelle stesse ore, Netanyahu ha risposto: «Israele non accetta i diktat internazionali. Una intesa con i palestinesi avverrà colo con trattative dirette tra le parti e senza un riconoscimento unilaterale dello stato palestinese. Non c’è premio maggiore per il terrorismo».
L’offensiva al nord
Sugli esiti positivi di un accordo tra le parti in causa anche le autorità del Qatar sono scettiche. «I negoziati non sono molto promettenti», ha ammesso il primo ministro e ministro degli Esteri Sheikh Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani, che poi ha chiarito: «Rimarremo sempre ottimisti, continueremo a spingere». Secondo le autorità qatarine, vincolare l’accordo alla liberazione degli ostaggi è un ostacolo alle trattative, ma è chiaro che Netanyahu non ha intenzione di cedere su questo punto, liquidando le richieste di Hamas come «folli». Tanto più che è proprio questo il nervo scoperto dell’opinione pubblica israeliana, che anche in queste ore è sceso nelle strade di Tel Aviv, Gerusalemme e altre cittadine del Paese per protestare contro il governo. «Suggerisco di non dividerci, abbiamo bisogno di unità in questo momento», ha risposto il premier alla piazza che chiede di tornare al voto. Ma Netanyahu si è anche occupato delle tensioni nel nord del Paese: da settimane, mesi, i miliziani di Hezbollah rivolgono i propri colpi di artiglieria contro Israele, che risponde con bombardamenti nel territorio libanese. «Forse sarà necessaria un’operazione militare al nord», ha dichiarato ancora il premier.
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