L’autista di Maradona: «Vi racconto quella volta che fece l’autostop per tornare a casa»
Giovanni Aiello è stato l’autista di Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro gli ha fatto da testimone di nozze. E gli ha affidato anche la figlia Dalma quando i reporter lo inseguivano per una foto. Oggi racconta al Quotidiano Nazionale il suo rapporto con il campione. Cominciato per caso: «Esattamente 40 anni fa ero aiuto cameraman nella Maradona Production, società creata per realizzare un film sulla vita di Diego. Il suo entourage cercava un ragazzo che conoscesse bene Napoli: scelsero me». E rivela: «In quegli anni dormivo pochissimo alla notte, il telefono suonava sempre e avevo la borsa pronta per partire all’improvviso, anche in aereo».
Il volo per Mosca
Aiello racconta che una volta partì con Diego per Mosca: «La squadra al pomeriggio partì senza di lui alle 15. Verso le 18,30 Diego arrivò nei nostri uffici: Gianni, partiamo. ‘Ma Diego, la squadra è andata’. ‘Non mi interessa, noleggia un aereo privato e domattina andiamo’. Così facemmo, vidi Diego dare 30 milioni di lire in mano al pilota sulla pista e arrivammo in Urss dopo 4 ore di volo traballante mentre lui giocava a carte». E le sue superstizioni: «Lui voleva sempre gli stessi vestiti prima delle gare. Un giorno mi chiamò da Cremona, avrebbero dovuto giocare il giorno dopo e il campo era ghiacciato. Chiedemmo alla Puma scarpini nuovi, ma era venerdì sera e nessuno rispose. Diego minacciò di giocare senza logo, dalla Germania la Puma ci mandò un aerotaxi solo per lui. A Capodichino la dogana era chiusa, ma riaprì solo perché erano gli scarpini di Diego».
Le auto
Diego aveva un garage pieno di auto: due Ferrari, con la Testarossa poi diventata nera, Bmw, Mercedes, Hyundai, Renault. «Voleva guidare lui. Una volta fummo protagonisti di un maxitamponamento. Diego mi lasciò lì e si mise a fare l’autostop per tornare a casa. Diego era «uno di famiglia, umile e buono. Quando lo conobbi credevo fosse un vip, invece no. C’era un Maradona e c’era un Diego: tutti hanno conosciuto il calciatore, io l’ho vissuto nella quotidianità». E temeva una cosa: «Il troppo affetto dei napoletani, aveva paura che succedesse qualcosa alla sua famiglia».
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