Ghemon, Sangiovanni, Calma e il culto dei numeri che sta rovinando i giovani artisti e l’industria musicale
«L’industria musicale attuale promuove un modo di pensare ed agire inquinato dal culto dei numeri e dei sold out che sta determinando più danni di quello che il pubblico può vedere», è questo l’incipit del lungo post con cui Ghemon ha scoperchiato il vaso di Pandora, ha puntato i riflettori sul retro della medaglia della nuova musica fluida. Perché se è vero che Spotify ha istituzionalizzato la musica in rete, preda preferita della pirateria che ha condizionato l’economia dell’industria discografica di inizio millennio, è altresì corretto dire che poi la rete ha anche allargato il mercato a dismisura, ben oltre la richiesta del pubblico, fino a rendere tutto confuso. Finché non si è reso necessario attaccarsi ai dati di cui ha scritto Ghemon, ai numeri, a quelle fredde analisi che poco o nulla certificano in termini artistici. Per farla breve, la quantità che soffoca la qualità, che c’è ancora, ma non si vede. Nel 2020 Daniel Ek, ceo di Spotify, lo ha proprio dichiarato al mondo intero: «Non è abbastanza fare un disco ogni 3-4 anni» ed è anche necessario «mantenere un dialogo continuo coi fan». Se volete dunque una spiegazione del perché ogni settimana, tra album e singoli di artisti – e ci riferiamo solo agli italiani con un seguito – ci ritroviamo sul mercato circa una trentina di nuove opere, basterebbe fermarsi alle dichiarazioni di chi, di fatto, ha modellato su questi parametri matematici il mercato discografico globale. Questo flusso ingordo e affannoso ha rivoluzionato il rapporto che l’ascoltatore ha con la musica: è diventato ormai praticamente impossibile affezionarsi ad una canzone, men che meno ad un album, in realtà a qualsiasi genere di narrazione più articolata di una hit estiva.
Conseguenze devastanti
Ma attenzione, Ghemon, uno dei più talentuosi liricisti del rap, artista che ha cancellato il confine con il puro cantautorato, si sofferma anche su una particolare conseguenza di questa rivoluzione, ovvero la salute mentale, specie nei ragazzi più giovani, il rischio che ci si rispecchi nell’ormai assai probabile fallimento del proprio progetto musicale. Sarebbe banale ridurre tutto al successo o all’insuccesso, è di pochi giorni fa infatti la notizia della pausa che Sangiovanni ha deciso di prendersi dopo una partecipazione al Festival di Sanremo non proprio felicissima, conclusa con un inaspettato penultimo posto: stop al disco e rimandato il concerto al Forum D’Assago. Le energie «fisiche e mentali», come ha spiegato tramite social il ragazzo, appena 21enne, sono venute meno, il disagio ha avuto la meglio e, tra l’altro, si è evidentemente tradotto sul palco del Teatro Ariston dove la tenuta è stata piuttosto traballante. Sangiovanni, dopo l’esperienza ad Amici, ha subito un’improvvisa e sconsiderata accelerata senza forse avere ancora gli strumenti per reggere quella pressione. Il suo primo album si sorregge sulle prime hit, poi il primo Sanremo, affrontato – come ha dichiarato – con difficoltà. E da lì un passaggio velocissimo dopo l’altro: un secondo album, Cadere Volare, e una serie tv dove ha un ruolo praticamente da coprotagonista con Carlo Verdone, e poi di nuovo al Festival. Infine lo stop. E se è successo a Sangiovanni – uno da quasi tre milioni e mezzo di ascolti mensili su Spotify, con in repertorio brani da oltre cento milioni di stream – possiamo solo immaginare gli effetti del tritacarne sui ragazzi che invece, per chissà quali e quante dinamiche, non sono riusciti a sfruttare la partecipazione, alle volte perfino vittoriosa, a un talent per formarsi una carriera ben definita. Umberto Tozzi lo diceva nel 2008: «Il futuro dei giovani di X Factor, secondo me, si chiamerà depressione. Amici? Peggio che mai». Aveva ragione, Sangiovanni infatti è solo la punta dell’iceberg di un problema che ormai riguarda tanti ragazzi che portano in tasca il sogno di lavorare nel mondo della musica, che quando riescono ad ottenere quel famigerato quarto d’ora di notorietà, capiscono che in realtà non è tempo che gli appartiene ma solo il necessario per essere spremuti prima di essere ferocemente cestinati.
Calma e la pace dentro
Pensiamo a Calma, concorrente di Amici 2022, che nel dicembre del 2023 decide di abbandonare la musica perchè «Non ho più la pace dentro e non ho più trovato gli stimoli di cui avrei bisogno continuamente per fare questo lavoro. Per essere parte di un sistema – prosegue – bisogna sottostare a richieste e idee non solo proprie. Ho avuto una possibilità caduta dal cielo che però qualcuno ha deciso non dovessi sfruttare. Ho tenuto la bocca sempre chiusa, perché si doveva fare così. Perché era giusto cosi. Però ora non c’è un solo giorno in più per me in quel settore. Sono esausto. Ho deciso di prendermi cura della mia salute mentale e cercare di guarire». Davide Shorty, talentuosissimo musicista ex X Factor, nel 2018 ci ha fatto anche una canzone in featuring con Elio dal titolo Canti ancora?!, che dietro la facciata ironica nascondeva un anno di dichiarata depressione: «Perché nessuno – ha raccontato a Rolling Stones – segue quello che fai, perché viviamo nell’era dei fenomeni. Sei un fenomeno televisivo e la gente ti guarda in televisione, poi quando il programma finisce si comincia a dimenticare. Questa è una cosa che succede a tutti, e ne ho parlato con tantissimi concorrenti di talent. Alcuni la vivono con più leggerezza, altri in maniera pesante, perché è una cosa che va a toccare la tua identità».
Non è solo una questione di giovani
Ma puntare il dito contro i talent, nonostante rappresentino una realtà del tutto solidificata della discografia moderna (ultima vincitrice del Festival di Sanremo: Angelina Mango, vincitrice della sezione canto dell’ultima edizione di Amici), potrebbe essere fuorviante, d’altra parte anche Theo, membro de La Sad, in gara a Sanremo solo pochi giorni fa, tramite social, a sipario chiuso, si è confidato con i propri follower riguardo un’esperienza che sarebbe dovuta essere elettrizzante per un artista in fase di lancio e invece non è andata così: «Mentirei se dicessi che è stato così – ha scritto – Il palco di Sanremo è forse l’esposizione più grande che un artista possa avere in Italia e per me è stato davvero un onore condividere il palco con grandi artisti, poter portare il nostro messaggio a tutta Italia ed essere riusciti a riparare altri cuori con la musica. Ma purtroppo questa botta di fama improvvisa non ha aiutato a riparare me..Sono stati giorni davvero difficili dove mi sono ritrovato ad affrontare nuove sfide con me stesso, mi sono sentito staccato dalla realtà, di proprietà della massa, tra parole d’amore e parole d’odio e per una persona che soffre di depressione non è facile affrontare tutto questo. So che dovrei sorridere e dire che è tutto fantastico, ma non posso mentire, penso sia meglio mantenere fede al messaggio portato a Sanremo “non parlarne è un suicidio” e parlare con sincerità della mia esperienza per dirvi che non siete soli». Nel suo post Ghemon infatti parla di tutti gli esclusi dal mondo della musica, compresi artisti più esperti, magari anche con un passato discograficamente notevole.
Da Syria a Ghali
In questo senso a esporsi è stata Syria, che su Instagram ricondivide il post del collega scrivendo di «far parte nella mia piccola realtà di questo racconto. Ho iniziato a fare questo mestiere nel 1996 – dice – partendo da Sanremo e posso confermare di aver vissuto momenti memorabili… toccando il cielo con un dito e le dovute insicurezze. Non voglio dire di essere caduta nell’oblio questo no, ma certamente mi sono fortemente messa in discussione per lungo tempo ed ho trovato in me l’antidoto per non mollare senza soffire come capita a tanti di questi ragazzi di questa generazione che vengono arruolati in un vortice pieno di insidie. Ho avuto l’occasione di fare provini come giudice di un talent – prosegue – ma sono stata superata ben due volte da personalità più incisive giuste al momento giusto, e pure mi hanno cercata e messa alla prova, ma nulla pazienza e quanti NO per il festival di Sanremo da cui partono mille meccanismi…». Questa testimonianza si aggiunge a quelle brevi a commento del post di Ghemon, tra le quali tra l’altro si scorgono molti profili di ex concorrenti di talent e artisti in erba che non riescono ad imporsi come meriterebbero, ma anche a quella di Ghali, che dalla poltrona di Che Tempo Che Fa, dove ha raccontato della crisi che lo ha colpito negli anni scorsi, vittima proprio della pressione di un successo arrivato troppo in fretta. Un coro esteso che restituisce dunque i tratti di un fenomeno generale, che non sventola la bandiera di alcuna generazione in particolare, di una musica che non dipende più dalla musica, dall’ispirazione, da quel fuoco capace di contagiare attraverso note e parole, ma spesso da che faccia hai e quanto esci bene in video, quanto rende in termini di seguito sui social. Per tutto il resto poi, come accade sempre più spesso, basta una task force di autori e un buon producer. L’industria musicale, per salvarsi – ma non vale più come giustificazione – ha dovuto adeguarsi ai nuovi standard che impongono la materia prima, la musica, concepita, impacchettata e venduta come un prodotto di consumo qualsiasi, non più fine ultimo, arricchimento per l’anima, ma mezzo per arrivare ad una stabilità professionale che sempre più raramente dipende dal talento dell’artista, sparato come un razzo tra le stelle del cielo della discografia pur essendo, purtroppo, sempre più spesso, esattamente come le stelle sopra le nostre teste, solo l’eco di una luce già morta.
Nella foto in alto: Sangiovanni a Sanremo 2024 (Ansa)