Riscaldamenti e allevamenti soffocano la Pianura Padana. Ecco perché l’aria è così inquinata
Oggi ha fatto scalpore la classifica secondo la quale Milano sarebbe la terza città più inquinata del mondo. Una classifica stilata da IQ Air, ente privato svizzero produttore di purificatori d’aria. Il dato è parziale, poiché è riferito a un momento specifico, ovvero la giornata del 19 febbraio, non tiene conto di tutte le città globali, ma solo di una selezione, e si riferisce solo al PM2.5. Il presunto bronzo della città meneghina nella triste classifica ha fatto infuriare il primo cittadino Beppe Sala. Ma ciò non toglie che da giorni si intensificano gli allarmi sulla qualità dell’aria in Italia e in particolare nella Pianura Padana.
Aria calda e sporca
L’alta pressione prolungata ha portato sulle regioni del Nord Italia stabilità atmosferica e assenza di venti significativi che se presenti potrebbero rimescolare le masse aeree. Il risultato è un continuo accumulo degli inquinanti nell’aria che nel corso di gennaio e febbraio è stata per molti giorni tossica per chiunque la respirasse, tanto da far chiedere a molti se valga la pena uscire ad allenarsi o se abbia senso mettere una mascherina all’esterno (qui tutte le risposte). Si tratta di una situazione in lento miglioramento che per essere risolta deve essere affrontata alla radice analizzandone le cause. A destare particolare preoccupazione sono PM10 e PM2.5. Cosa indicano queste sigle? Quali sono le principali fonti di questi inquinanti? Si potrebbe pensare che a incidere maggiormente sono le industrie e il trasporto su gomma, ma le cose non stanno esattamente così.
Cosa sono PM2.5 e PM10?
Le particelle sospese nell’aria, indicate come PM10 e PM2.5, sono frammenti microscopici di polveri, fumi, liquidi, derivati del carbonio e altri materiali sospesi nell’atmosfera. La denominazione deriva dal loro diametro: le PM10 hanno un diametro inferiore a 10 micron, mentre le PM2.5 sono ancora più piccole, con un diametro inferiore a 2,5 micron. Un micron equivale a un millesimo di millimetro. Per confronto, un capello umano raramente è più sottile di 65 micron. Queste particelle possono essere emesse da fonti naturali come eruzioni vulcaniche e incendi forestali, ma sono principalmente prodotte da attività umane come il riscaldamento domestico, il traffico veicolare, l’industria, e gli allevamenti intensivi.
Quali sono i rischi per la salute del particolato atmosferico?
Le PM10 e le PM2.5 possono penetrare profondamente nei polmoni umani, causando una serie di problemi di salute. Le particelle più piccole, come le PM2.5, possono persino raggiungere il flusso sanguigno e diffondersi in tutto il corpo, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari, respiratorie e altri problemi come l’asma, bronchite, e tumori. Inoltre, possono anche peggiorare le condizioni preesistenti come le malattie cardiache e polmonari. Pertanto, la riduzione dell’esposizione a queste particelle è fondamentale per proteggere la salute pubblica.
Quali sono le fonti di PM10?
Le emissioni totali di PM10, nel 2021 sono diminuite del 42% rispetto al 1990. Un miglioramento innegabile ma che lascia la Pianura Padana comunque in condizioni di asfissia, con le 10 città più inquinate del Paese tutte in questa zona secondo il rapporto di Legambiente MalAria 2023. Secondo quanto calcola l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), la combustione non industriale è responsabile del 49% del PM10 presente nell’aria delle città italiane. A incidere maggiormente, in questo settore, sono i riscaldamenti, specificamente quelli a legna e pellet, che hanno comportato un complessivo aumento del particolato dovuto alla climatizzazione degli edifici. Situazione illustrata anche da Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale (Sima) a Open.
Spiega Miani: «In Lombardia vengono ancora molto utilizzati anche caminetti e stufe a pellet, che hanno grandi produzioni di polveri. Anche il gas però produce sostanze inquinanti. Una elettrificazione degli impianti di riscaldamento è una delle soluzioni». L’agricoltura è responsabile del 12% delle PM10 nel nostro Paese, mentre i trasporti su strada sono responsabili del 10% del particolato complessivo. In questo settore si è registrata una riduzione grazie alle normative più stringenti sui gas di scarico, ma continua ad essere significativa la quota di particolato prodotta dall’usura di freni e pneumatici. La produzione industriale produce poi il 15% del particolato. Fonti minori sono la gestione dei rifiuti, i macchinari industriali, l’uso di solventi e la combustione per fini industriali.
Quali sono le fonti di PM2.5?
I dati di PM2.5 non differiscono molto da quelli sul PM10. Nello specifico, in questa categoria il trasporto su strada si attesta al 9% delle emissioni, mentre sale la già consistente quota di riscaldamenti e combustioni non industriali, arrivando al 66%. L’agricoltura si ferma al 4% così come il trattamento dei rifiuti e i processi industriali, mentre si attestano al 6% quelle derivanti dai macchinari industriali.
Quali attività emettono più PM10 e PM2.5?
Spesso si sente dire che gli allevamenti intensivi incidono particolarmente sulle emissioni di polveri sottili. Eppure la voce non compare nella lista dei settori più inquinanti. Ciò si deve a una differenza, quella tra particolato primario e secondario. Secondo un’analisi dell’Ispra elaborata per il Corriere della Sera, nelle città italiane il particolato secondario è più di quello primario. Il particolato secondario si forma nell’interazione tra le polveri sottili già presenti nell’atmosfera altri composti volatili e inquinanti come l’ammoniaca, gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo con i fattori climatici e le radiazioni solari che determinano un aumento complessivo delle polveri sottili. Si spiega così il dato degli allevamenti che sono tra i maggiori emettitori di ammoniaca nell’atmosfera. Nel combinato le percentuali diventano le seguenti.
Perché la Pianura Padana ha l’aria così inquinata?
La Pianura Padana si attesta stabilmente come una delle macroaree più inquinate d’Europa. Ciò si deve a una combinazione di diversi fattori. In primis geografici, poiché la Valle del Po è chiusa su tre lati da montagne che impediscono la circolazione dell’aria, lasciando un breve sbocco solo sul piccolo e anch’esso relativamente chiuso Mare Adriatico. Inoltre, nella Pianura Padana vivono quasi 15 milioni di persone, per una densità demografica di 355 abitanti al chilometro quadrato, doppia rispetto a quella nazionale. Le regioni del Nord sono poi quelle in cui si concentrano la maggioranza delle attività produttive e degli allevamenti intensivi.
Qual è il ruolo del traffico?
Proprio questa è l’area del Paese dove si nota come i dati a livello nazionale possono mostrare differenze significative a livello locale. Elabora ancora Miani: «Il traffico veicolare incide sul 22% su base nazionale, ma a Milano è più che doppio. Al contrario di quanto si possa pensare, il reparto industriale incide solo per l’11% su base nazionale come sorgente immissiva di inquinamento atmosferico, ma al Nord la concentrazione dei poli industriali contribuiscono di più. Poi ci sono le attività agricole, che in periodi siccitosi come oggi producono più polveri». Lo stesso vale per gli allevamenti intensivi, che – spiega ancora Miani – producono «il 75% di tutte le polveri sottili».
Quali sono le soluzioni?
Al di là di quelle individuali, ci sono diversi interventi più o meno immediati che possono essere messi in atto per migliorare la situazione. Miani individua due settori principali: «il verde urbano (tetti verdi, pareti verdi, nuove piantumazioni)». e «le nanotecnologie dei coating fotocatalici sugli edifici». «Si tratta di vernici trasparenti, peraltro prodotte in Italia, al biossido di titanio a base etanolo. Questa tipologia è supportata da evidenze scientifiche e sperimentata con successo. Vengono spruzzati sulle superficie e hanno due effetti: li rendono non imbrattabili dai vandali e trasformano gli inquinanti in sottoprodotti innocui sulla salute, grazie alla luce diurna. Queste vernici sono atossiche per l’uomo e permettono di ridurre l’inquinamento in una città anche del 30%», illustra Miani. E ancora: «È una soluzione che si potrebbe attuare subito. L’ideale sarebbe dare incentivi fiscali ai privati per trasformare i loro condomini in sistemi anti smog e il pubblico investire nei suoi edifici. Questi prodotti, una volta applicati, lavorano per una media di 20 anni e non sono energivori».
In copertina: ANSA/TINO ROMANO | Una veduta della città di Torino con smog e inquinamento vista dall’alto della Basilica di Superga il 5 febbraio 2024
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