Ilaria Salis parla dal carcere di Budapest: «Per favore non abbandonatemi»
La vita della cittadina italiana Ilaria Salis nel carcere di Gyorcsi Ucta a Budapest va avanti. Si trova in cella con altre sette detenute, le docce sono in comune e ogni reclusa ha diritto a un’ora d’aria al giorno. Lei conta i giorni che la separano dalla prossima udienza del suo processo: sarà il 28 marzo. Dal 7 febbraio 2023 è dentro con l’accusa di lesioni potenzialmente letali nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra durante una manifestazione neonazista. Non è stata arrestata in flagranza di reato. Intanto i suoi genitori cercano un appartamento in cui farle trascorrere gli arresti domiciliari, se i giudici decideranno di concederglieli. E ieri ha spiegato al deputato del Partito Democratico Paolo Ciano che ha ancora tanta paura. Di non riuscire a spiegarsi e di non essere creduta.
Il patteggiamento e i domiciliari
A Salis è stato proposto un patteggiamento che prevede undici anni di carcere. In parlatorio, raccontano oggi il Corriere della Sera e La Stampa, è arrivata con un maglione rosa, una t-shirt e i jeans. «Per 11 mesi mi hanno parlato solo in ungherese. E io non capivo nulla. Non conoscevo le regole. Quando qualcuno entrava in cella e mi diceva qualcosa non sapevo come interpretarlo», racconta. Ora i documenti del processo saranno disponibili anche in italiano: «Mi ha ringraziato perché le sembra che nell’ultimo mese le cose stiano andando meglio, percepisce più attenzione e la attribuisce al fatto che in Italia ci sia stata una mobilitazione», dice Ciani. Salis ora «spera di poter avere presto i domiciliari. Il desiderio è quello di tornare a casa, ma ha capito che intanto ottenerli in Ungheria potrebbe favorire un successivo rientro in Italia».
L’appartamento a Budapest
Ora dovrà comunicare un domicilio alle autorità ungheresi. E i suoi genitori stanno cercando appartamenti adatti. Nel frattempo è diventata un bersaglio per i neonazisti ungheresi: «Sapeva del murale che la ritrae impiccata a testa in giù. È uno degli esempi che mi ha fatto quando le ho chiesto se sapesse cosa stava accadendo, ma non ha aggiunto commenti sul suo stato d’animo». Ciano dice che nei primi sessanta giorni di completo isolamento non capiva cosa le dicevano gli agenti di custodia: «Mi è sembrato un sistema brutalmente punitivo». Infine, Salis ha spiegato al deputato la vita che vorrebbe tornare a fare: tornare a insegnare alle superiori in Lombardia. «Mi raccomando, onorevole, rimaniamo in contatto», ha concluso.
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