Mototerapia per trattare l’autismo, scoperta scientifica o demagogia?
La motocicletta potrebbe costituire una terapia efficace nel trattamento dei bambini autistici? Secondo la politica, sì. Secondo la comunità scientifica, le cose sono un po’ più complicate. Ieri, infatti, la Camera ha approvato una legge che sancisce l’efficacia della “mototerapia” per l’autismo. Tuttavia, non viene fatto cenno ai risultati terapeutici della Freestyle Motocross Therapy (che è stata definita «psicomotricità in motocicletta») dalla piattaforma del Sistema Nazionale Linee Guida (Snlg) dell’Istituto superiore di sanità. E l’«oggettiva valutazione dei risultati ottenuti» si baserebbe solo su un questionario sottoposto a una cinquantina di persone. Di certo non può essere un’attestazione di efficacia quanto dichiarato dalla ministra per la disabilità Locatelli, che ha raccontato di aver visto «la gioia, l’emozione, l’energia negli occhi di tanti bambini, ragazzi e delle loro famiglie. E questo significa che la strada è quella giusta».
I tentativi
Gianluca Nicoletti denuncia tra le colonne della Stampa i tentativi, presenti e passati, di suggerire trattamenti fantasiosi nella presunzione di «risolvere» il problema. E lo fa per lanciare un monito ai familiari di persone autistiche: non coltivate speranze o illusioni. «Ho visto in passato chi ha sostenuto lo straordinario potere terapeutico degli asinelli o l’interazione con i lemuri», racconta il giornalista, che ha in carico un figlio autistico. C’è stato poi il periodo della «comunicazione facilitata», delle diete, degli integratori, dell’omeopatia, della chelazione, delle camere iperbariche. A suo dire queste improbabili alternative distolgono l’attenzione dagli unici trattamenti che si sono rivelati effettivamente efficaci. E rientrano interamente nell’ambito delle terapie comportamentali, sempre doverosamente seguite da neuropsichiatri, psicologi, psicoterapeuti e operatori comunque formati a trattare persone autistiche.
I problemi attuali
Le attività ludico-ricreative, insomma, sembrano utili a distrarre e intrattenere, magari risollevare il morale. Ma non rappresenterebbero una vera e propria cura. Anche perché prima di pensare a nuove soluzioni, bisognerebbe a detta di Nicoletti assicurarsi del funzionamento di quelle già esistenti. Dal momento che, racconta, è già abbastanza difficile vedersi riconosciute dal Servizio sanitario nazionale le terapie veramente efficaci. Il motivo? Mancanza di soldi, taglio dei fondi, lunghissime liste d’attesa. E il timore è che il riconoscimento di nuove terapie aggravi il carico già difficile da gestire.