Il base jumping, tra incidenti mortali ed equipaggiamenti da 5 mila euro: «È come una roulette russa»
C’è una disciplina tanto spettacolare quanto poco diffusa, che in Italia conta meno di cento praticanti e nel mondo fatica ad arrivare a tremila. È il base jumping, lo sport estremo che prevede di lanciarsi con un tuta alare e planare anche per diversi chilometri. «La sensazione che ti dà la tuta alare è difficile da descrivere. Significa volare senza premere pulsanti o azionare leve, utilizzando solo il proprio corpo. È la sensazione di volo più pura», spiega al Corriere della Sera Marco Milanese, 36 anni e autore del libro Volare le montagne. In Italia, il base jumping – che prevede di lanciarsi da edifici, torri, ponti o montagne – si pratica soprattutto sul monte Brento, in provincia di Trento, oppure a Forcellino, vicino a Lecco.
Costi e incidenti
Se in Italia i praticanti di questo sport estremo sono meno di 100, i motivi sono essenzialmente due: il costo e il rischio incidenti. Per quanto riguarda la questione economica, c’è da mettere in conto che una tuta alare costa tra i 1.500 e i 2mila euro, a cui vanno aggiunti circa 3.500 euro per il paracadute. Ma la caratteristica che rende meno appetibile questo sport estremo è senz’altro il rischio a cui va incontro chi lo pratica. «In altre discipline se sbagli hai il tempo di fermarti e rimediare. In questa no», spiega Milanese al Corriere. E infatti dal 1981 ad oggi sono 473 i base jumper che hanno perso la vita praticando questo sport. L’ultimo in Italia è Alessandro Fiorito, 62 anni, morto lanciandosi dalla parete del Forcellino. Prima di poter praticare base jumping, bisogna avere alle spalle almeno 200 lanci con il paracadute, ma anche tra i più esperti gli incidenti mortali non sono poi così rari. «Il paracadutismo ha tutta una filiera normativa e burocratica. Il base jumping invece assomiglia a una roulette russa», spiega Milanese.