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Europa e Cina dalla crisi del gas hanno consumato più carbone di prima. Taglio C02 a rischio, i numeri uno di Eni, Enel e Terna lo spiegano alla scuola della Lega

27 Febbraio 2024 - 18:31 Franco Bechis
Descalzi (Eni): «All’Africa non si può chiedere la stessa transizione Ue e Usa». Cattaneo (Enel): «Regina delle rinnovabili è l’acqua. Poi il geotermico». Di Foggia (Terna): «Bisogna prepararsi a cambiare lavoro in ogni azienda, anche da noi»

Tutti e tre i numeri uno dell’energia italiana, Claudio Descalzi (ad Eni), Flavio Cattaneo (ad Enel) e Giuseppina Di Foggia (ad Terna) non hanno dubbi sulla transizione energetica: «Non c’è altra strada possibile», hanno detto quasi in coro in un incontro a Roma organizzato da Armando Siri e della sua scuola di formazione politica della Lega. Ma il percorso di riduzione delle emissioni disegnato dall’Europa e dagli accordi internazionali è tutto fuorché in discesa, soprattutto perché nell’ultimo biennio la crisi del gas derivata dalla invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha portato indietro l’orologio della transizione rallentando non poco il percorso di riduzione delle emissioni.

Il ritorno del carbone in mezzo ai guai. Cattaneo: «Qualcuno dovrà pagarcelo»

Tra il 2021 e il 2022, ha ricordato Descalzi, «l’Europa ovviamente non aveva il gas, cosa ha usato? Ha usato il carbone, e ha aumentato il carbone. Ha aumentato di 2,5 volte le emissioni». Gli Stati Uniti che avevano il gas liquido (Lng) invece «nello stesso periodo hanno ridotto del 10% l’utilizzo del carbone; quindi, riducendo molto le emissioni». Anche in Cina per altri motivi è tornato il carbone che stavo sostituendo con le rinnovabili: la crescita del paese è stata più bassa delle previsioni e allora, ha continuato l’amministratore delegato di Eni, «in questo momento è andata sul carbone come processo perché costava molto meno, avevano delle grosse scorte e hanno anche delle miniere». Se però la Cina dovesse tornare a crescere, i guai sarebbero tutti europei perché tornerebbero a comprare Lng facendo lievitare i prezzi nella Ue rispetto a quelli attuali e «allora ripotremmo a cominciare a avere ancora dei problemi». Per altro anche Cattaneo ha ricordato che con l’emergenza gas, «sono stati utilizzati gli impianti a carbone, su mandato, quindi su obbligo, non perché volevamo utilizzarli. Tra l’altro facendoci comprare un mare di carbone che adesso ho lì, che poi alla fine qualcuno dovrà pagare, perché non è che mi dici compri il carbone, perché se c’è il gas e poi rimane il carbone, il carbone ha perso la metà del suo valore, e quindi alla fine ci sono anche dei danni economici». Descalzi ha comunque spiegato che ancora oggi «petrolio gas e carbone occupano ancora circa l’80- 81% del fabbisogno energetico ed elettrico mondiale. Il carbone è ancora il primo col 37% a livello mondiale per produrre elettricità e quando non si possiede non ci si può dire ancora tranquilli».

Il personale da riconvertire, Di Foggia: «Impossibile stesso lavoro tutta la vita»

La transizione energetica ne porta con sé un’altra: quella digitale. Lo ha spiegato bene la Di Foggia: «Le due sono imprescindibili, per questo si parla di twin transition. In Terna l’abbiamo già avviata dai primi giorni in cui sono in azienda perché con la digitalizzazione si aiuterà a controllare meglio anche la trasmissione dell’energia internazionale in tutte le fasi. Questo comporta anche un tema culturale se vogliamo e non riguarda solo Terna, ma tutte le aziende in cui è in atto il processo di twin transition. Non si potrà più pensare di fare sempre lo stesso lavoro per tutta la vita, ma si dovrà essere pronti a cambiare lavoro. Alcuni lavori non ci saranno più, altri ne verranno e succederà anche nella nostra azienda. Altri si faranno in modo diverso».

Zero emissioni l’obiettivo, Descalzi: «Difficile accettarlo per Africa e Asia»

Gli orizzonti più netti e ravvicinati del percorso verso «zero emissioni» sono stati introdotti dall’Unione europea con il suo Green Deal. Secondo l’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi, però è difficile che possano essere recepiti da tutto il mondo. E, anzi, in Africa e Asia è anche irrealistico chiederlo. «Oggi l’Europa rappresenta il 6% della popolazione mondiale e il 7% delle emissioni globali. Gli Stati Uniti hanno il 4% della popolazione e il 25% delle emissioni mondiali. La Cina ha il 18% della popolazione e circa il 19-20% delle emissioni. L’Africa il 18% della popolazione e il 3% delle emissioni. Certo non si possono applicare forzatamente all’Africa (ma in parte anche all’Asia) le regole che si è data l’Europa- che le applica e su cui solo verbalmente convengono gli Stati Uniti. Prima di tutto è difficile parlare con tutti gli africani: ci sono 54 paesi diversi di cui 48 nell’area sub-sahariana, parlano lingue diverse, hanno culture diverse. Se si va dagli africani e si dice loro che devono usare solo le rinnovabili e che nel 2030 devi avere l’obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni, nel 2040 l’80%, nel 2050 emissioni zero, questi ci guardano con due occhi così e dicono: “Scusa, per 70 anni sei venuto a prendermi il gas e il petrolio e adesso io devo fermarmi, sono quello che produce meno perché ho meno sviluppo e tu hai fatto quello che hai voluto”. Quindi secondo me devono esserci velocità diverse, richieste diverse, ma soprattutto non ci deve essere ideologia. Mettere obiettivi è corretto, nel senso che c’è un problema che non deve essere assolutamente negato di polluzione di CO2, di effetto serra, però bisogna essere molto attenti alle soluzioni».

Il rischio di una bomba sociale e l’esempio drammatico del Brasile sul fotovoltaico

Come Descalzi anche Cattaneo ha chiaro che il cambiamento climatico esiste e le emissioni sono un problema di tutti: «Non ho un approccio ideologico», spiega l’amministratore delegato di Enel, «ma i fatti sono fatti. Tutti gli studi scientifici dimostrano che il riscaldamento sulla Terra c’è, non è che ce lo siamo inventato. Perché se ce lo fossimo inventato, guardate, costa meno fare il turbogas, abbiamo già il carbone, non chiudiamo gli impianti, ci sono, non è che ci sarebbe da fare altro. Ma se quel problema c’è, e c’è, noi lo dobbiamo risolvere». Però i manager dell’energia italiana sono convinti che la transizione vada gestita e accompagnata anche da misure che ne attutiscano l’impatto economico e organizzativo. «Ci vuole buonsenso e direi anche competenza», spiega Descalzi, «altrimenti facciamo scoppiare una bomba sociale». E a questo proposito Cattaneo cita una storia che viene dal Brasile, paese che il manager conosce molto bene da decenni. «Il governo brasiliano», racconta l’amministratore delegato dell’Enel, «così come tutti i governi al mondo, finanzia in parte chi mette il pannello fotovoltaico. Ovviamente chi mette il pannello un minimo di reddito ce l’ha e chi lo fa ha un costo di energia inferiore. Accade che alcuni brasiliani di servizio di alcune famiglie ricche brasiliane, magari anche violando la privacy, leggendo quello che vedono, si accorgono che queste famiglie più ricca pagano l’energia meno di quanto la paga quelle povere, che per altro pagano il doppio del ricco anche l’utilizzo della rete. E il ricco, che ha pagato meno l’energia, consuma due volte la rete: quando la utilizza perché non gli va l’impianto fotovoltaico di notte, ma anche quando immette energia prodotta dal suo pannello. Il ricco ha due consumi, paga la metà la rete e paga di meno la metà l’energia. Scoperto questo è successo un caos, con gente in piazza e forti proteste sociali. Oggi il Brasile si trova in una situazione incredibile dove deve ripensare il sistema, deve reinvestire nelle infrastrutture diversi soldi, ma deve cambiare tutte le tariffe e dovrà andare a dire a chi ha messo i pannelli in casa: ‘Guarda che purtroppo dovrai pagare un po’ di più’. Con un ulteriore rimbalzo negativo. Ora, questo è successo là, ma non è detto che non succeda qua…».

L’Eni e quel biocarburante a cui la Ue ha chiuso le porte

Sia Descalzi che Cattaneo hanno insistito su scelte energetiche alternative che però hanno trovato o il divieto della Ue o la difficoltà a farle digerire ai cittadini italiani. La prima è una tecnologia Eni, quella dei biocarburanti. «Hanno comunque un abbattimento sostanziale», spiega Descalzi, «paragonabile a quello elettrico. Alla fine, se si considera tutta la catena, dall’estrazione fino alla ruota dell’auto, l’impatto ambientale è paragonabile. L’Europa ha detto no ai biocarburanti, vuole solo elettrico. Però ha dato ragione ai tedeschi con il fuel, che è una cosa lontana a venire. Sperimentata già dalla Seconda guerra mondiale, ma si ottiene da CO2 e idrogeno che dovrebbe essere verde, con costi pazzeschi. Il biocarburante a livello mondiale è richiesto da tutti, è quello che poi fa funzionare anche gli aerei, unico modo per ridurre le emissioni lì, ma non è stato accettato dalla Ue. Secondo me dovrebbero esserci meno ideologie, e più razionalità nel definire gli obiettivi. Bisognerebbe dare la libertà a ogni paese di un mix energetico differente, con tecnologie sviluppate in modo differente. Libertà di definire qual è il suo percorso per raggiungere gli obiettivi comuni, e non imporlo, perché è una follia».

Il nucleare possibile dell’Enel e i suoi vantaggi anche economici

Cattaneo invece insiste sul nucleare «e lasciamo perdere quello di quarta o quinta generazione, che ci vogliono anni. Ma noi abbiamo appena realizzato in Slovacchia 2 gigawatt, con un reattore appena ultimato. Il costo è stato 6 milioni e mezzo a megawatt. Non è poco, ma non è neanche tanto se si considera che ha un ammortamento a 40- 50 anni. Un impianto fotovoltaico costa meno, circa un milione a megawatt. Con quello ho 1.600 ore. L’impianto nucleare costerà 6 milioni e mezzo, ma fa 8.000 ore per 50 anni. C’è poi una seconda tecnologia, quella degli small reactor, da 200-300 megawatt. Ha sistemi di sicurezza più solidi che in passato. Prima erano solo ad acqua, adesso sono ad acqua e ad aria: hanno un doppio involucro e questo rende più sicuro l’impianto di generazione nucleare. Lo small reactor consente di realizzare tutta la parte tecnologica in fabbrica, quindi realizzare una filiera industriale, che quindi dà una maggior indipendenza e anche una capacità di realizzazione più flessibile. Ma se qua non ci danno le autorizzazioni per mettere le pale eoliche, figuriamoci per un impianto di generazione nucleare…».

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