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L’esperto di vaccini contro il governo: «Se non parte il Biotecnopolo di Siena me ne vado negli Usa»

27 Febbraio 2024 - 09:53 Redazione
rino rappuoli
rino rappuoli
Rino Rappuoli, 72enne: il paese ne ha bisogno

«Tra le virtù che mi rappresentano meno c’è la pazienza». E così, se non diventerà operativo il Biotecnopolo di Siena, fondazione di ricerca che ospita il Centro nazionale antipandemico, Rino Rappuoli che è il suo direttore scientifico non esclude di andarsene via dall’Italia. Magari approdando gli Stati Uniti. «Potrei», dichiara lo scienziato 72enne, fra i massimi esperti mondiali di vaccini, in un’intervista a La Repubblica. «Per me l’Italia è anche una sfida. Sono convinto che sia giusto fare il Biotecnopolo qui e con il pubblico, anche per dare delle opportunità ai nostri ricercatori». Mentre Siena «è il posto in cui sono nato. Qui nel 1904 Achille Sclavo fondò la start-up che fornì vaccini per un secolo all’Italia, dove ho iniziato a lavorare. Questo non basterebbe però a trattenermi se un limbo che dura già da 18 mesi si dovesse prolungare».

La polemica

Il Biotecnopolo è stato varato nell’agosto 2022. All’epoca era premier Mario Draghi. Nell’organico ci sono il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi. In dotazione ha 16 milioni l’anno dal 2024, oltre ai 340 del Pnrr per il Centro antipandemico. Ma nei fatti la sua attività deve ancora partire. «Dobbiamo nominare presto il direttore amministrativo», ha assicurato il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini. «Spero che le sue parole trovino concretezza», si augura Rappuoli, «il Paese ne ha bisogno. Non solo per prevenire un’eventuale futura pandemia», che il ministro della Salute Orazio Schillaci auspica “non si presenti per i prossimi cento anni”. Il centro “affronterebbe anche problemi attuali», precisa lo scienziato. Ma anche per lavorare su «batteri resistenti agli antibiotici, malattie emergenti, vaccini contro il cancro».

La squadra

La squadra di Rappuoli «è arrivata a migliaia di persone. Quando lavoravo con Big Pharma – continua – avevo budget di centinaia di milioni e potevo realizzare i miei obiettivi scientifici. Un giorno un amico mi chiese un po’ deluso: ma lavori per Novartis? Risposi di no, era Novartis che lavorava per me. Mi dava i soldi per creare i vaccini che progettavo. Negli anni ’90 lavoravo a un vaccino per il meningococco, in particolare per il ceppo A diffuso in Africa e il C in Usa ed Europa. La Gran Bretagna me ne chiese un terzo contro il loro ceppo, il B, ma impose che dalla formulazione fosse escluso l’A. La cosa mi restò sullo stomaco, finché non convinsi Novartis a creare un centro non profit di salute globale. Oggi è passato a Gsk, sempre a Siena. Lavora a vaccini per il mondo povero». Scontri con i No-vax ne ha mai avuti? «No. L’80% delle persone accetta i vaccini e il 18% ha solo bisogno di rassicurazioni. Il 2% invece è più fondamentalista. Il no ai vaccini è una religione, e di fede non discuto».

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