In Evidenza Legge di bilancioOpen ArmsTony Effe
ESTERIBerlinoCinemaGazaGermaniaIsraelePalestina

Le minacce di morte al giornalista israeliano dopo il discorso pro-Palestina alla Berlinale: «Non posso tornare a casa»

28 Febbraio 2024 - 08:26 Alessandra Mancini
L’appello per un «cessate il fuoco» a Gaza di Yuval Abraham e del palestinese Basel Adraha ha scatenato l’indignazione delle autorità tedesche e israeliane

L’appello per un cessate il fuoco a Gaza dal palco della Berlinale ha scatenato l’ira delle autorità tedesche e israeliane. Yuval Abraham e Basel Adra – vincitori del premio per il miglior documentario No Other Land – sono da giorni al centro delle critiche per il loro messaggio pro-Palestina pronunciato alla cerimonia di premiazione a Berlino di sabato scorso. Abraham è un giornalista israeliano, Adra è palestinese. Quest’ultimo vive in Cisgiordania, dove il numero di coloni israeliani ha continuato a crescere nel corso degli anni. E nonostante si trovino a solo mezz’ora di distanza l’uno dall’altro, le loro opportunità sono completamente diverse. «Io sono soggetto al diritto civile, Basel è soggetto alla legge militare. Io ho diritto di voto, lui no. Io sono libero di muovermi, Basel, come milioni di palestinesi, è rinchiuso nella Cisgiordania occupata. Questa situazione di apartheid tra noi, questa disuguaglianza, deve finire», l’appello di Abraham al Festival cinematografico. Le sue parole hanno provocato reazioni a catena: da una parte Berlino – con il sindaco Wegner e la ministra della Cultura Roth che hanno annunciato un’indagine per accertare i fatti -, dall’altra Israele che ha definito il discorso dei due «antisemita». Ad alimentare le polemiche non è stata solo l’accusa di genocidio nei confronti di Israele, ma il fatto che i registi non abbiano ricordato come l’offensiva sia stata scatenata dal massacro di Hamas del 7 ottobre.

«Ho dovuto cancellare il mio volo di ritorno»

Ora a causa delle minacce di morte ricevute, Abraham non farà ritorno a casa, in Israeale. Lo ha comunicato lui stesso sui social. «Una folla israeliana di destra si è presentata a casa della mia famiglia per cercarmi, costringendoli a fuggire in un’altra città nel cuore della notte», si legge nel post. «Ricevo ancora minacce di morte e ho dovuto cancellare il mio volo di ritorno – continua il documentarista -. Questo è successo dopo che i media israeliani e i politici tedeschi hanno etichettato in modo assurdo il mio discorso alla Berlinale – dove ho chiesto l’uguaglianza tra israeliani e palestinesi, il cessate il fuoco e la fine dell’apartheid – come “antisemita”». Per il giornalista «l’abuso della parola “antisemita” da parte dei tedeschi per mettere a tacere sia i palestinesi, sia gli israeliani» svuota di significato il termine stesso «e mette in pericolo gli ebrei di tutto il mondo». La maggior parte «della famiglia di mio nonno è stata assassinata – scrive – dai tedeschi» e «trovo particolarmente scandaloso che i politici tedeschi nel 2024 abbiano il coraggio di utilizzare questo termine come arma contro di me». Ma soprattutto, questo comportamento «mette in pericolo – spiega Abraham – la vita del mio collega Basilea Adra, che vive sotto occupazione militare circondato da insediamenti violenti a Masafer Yatta». 

Nonostante le minacce ricevute e l’impossibilità di fare ritorno dai suoi famigliari per paura delle ritorsioni, il giornalista israeliano è «felice che il documentario» – incentrato sui tentatati del governo Netanyahu di espellere i palestinesi da Masafer Yatta, un villaggio rurale nella Cisgiordania occupata – «stia scatenando un importante dibattito internazionale su questo tema». Il lungo sfogo di Abraham si chiude con un messaggio rivolto a Berlino, città fermamente a sostegno di Israele: «Se è lo stai facendo per il tuo senso di colpa a causa dell’olocausto, non voglio il tuo senso di colpa».

Leggi anche:

Articoli di ESTERI più letti