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Se il governo chiama la Cina a produrre auto elettriche in Italia: «Un suicidio economico e sociale»

italia cina auto elettriche
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Il centrodestra non voleva avvantaggiare la Cina nel settore. Ma ora lavora ad alleanze per sostituire Stellantis

«Pensare che dal 2035 non produrremo più auto a motore ma soltanto elettriche è un suicidio economico e sociale. Come consegnarsi mani e piedi alla Cina». Il ministro e vicepremier Matteo Salvini è stato chiarissimo ieri anche se non ha nominato Byd Co, azienda leader nella produzione di batterie elettriche. Il Capitano, che ultimamente tende a trovare più argomenti possibili per distinguersi dalla maggioranza e da Fratelli d’Italia, gioca la sua partita personale (e di sopravvivenza all’interno della Lega) per le elezioni europee. Ma fino a un anno fa la pensava così anche Giorgia Meloni, che un anno fa si rallegrava del rinvio del voto sullo stop alla vendita di auto a benzina nell’Ue dicendo che «avrebbe avvantaggiato la Cina». Ma siccome la politica è l’arte del possibile, il governo che cerca un’alternativa al disimpegno progressivo di Stellantis in Italia adesso guarda proprio a Pechino.

Build your dreams

Lo ha spiegato ieri proprio Michael Shu, l’amministratore delegato di Byd Europe, il cui acronimo significa Build your dreams: «Siamo in contatto con l’Italia per discutere» dell’entrata come produttori nel mercato italiano. D’altronde il colosso cinese delle auto elettriche nell’ultimo trimestre 2023 ha superato le vendite di Tesla e ha venduto tre milioni di auto. Ora guarda all’Europa, dove ancora vende appena 13.500 vetture, ma è già presente in 19 paesi e 230 concessionari. L’obiettivo è vendere 800 mila unità entro il 2030, grazie anche alla costruzione del primo stabilimento di auto e batterie in Ungheria, che sarà operativo entro tre anni. E proprio Budapest oggi è al centro dei suoi pensieri: Viktor Orbán è evidentemente in vantaggio nel progetto rispetto all’alleata Meloni. A Pechino produrre in Europa serve perché così aggira l’indagine dell’Ue sui sussidi statali e la competizione dell’industria cinese che importa in Europa.

L’invasione

A Roma invece serve un alleato per sostituire Stellantis, in progressivo allontanamento dall’Italia e da Torino. «Lavoriamo all’ipotesi di una seconda casa automobilistica in Italia», ha dichiarato ieri il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, pur precisando che i contatti con Byd sono datati nel tempo. E ricordando che il progetto prevede auto prodotte in Italia con componentistica italiana, non assemblate. Per rendere attraente la proposta il governo Meloni metterà nel piatto incentivi e stabilimenti dismessi da Nord a Sud. Come Termini Imerese. «In Europa siamo gli unici ad avere un unico produttore. Mentre Automotive News ha scritto che Mirafiori potrebbe ospitare entro il 2027 le piattaforme per le city car elettriche di un’altra azienda cinese. Si tratta però della Leapmotor, con la quale Stellantis ha in atto una joint venture che controlla al 51% dopo aver speso 1,5 miliardi di euro.

Le altre aziende cinesi in Italia

E non solo. Mentre dal ministero fanno sapere che lo stesso invito è arrivato a Chery, Toyota e Tesla, anche Omoda (di proprietà di Chery) sta pensando al Belpaese: «Abbiamo intenzione di costruire uno stabilimento in Europa. L’Italia è tra le possibili opzioni», ha spiegato Tony Wang-Gang, responsabile del marchio. Ma c’è anche Saic Motor Italy sulla rampa di lancio: «L’Italia è un mercato importante, dove stiamo facendo numeri rilevanti. È nella short list dei paesi in cui realizzare la fabbrica». Il disimpegno progressivo degli Elkann spaventa l’esecutivo. E quindi ecco la soluzione, che però, come succede in questi casi, apre a tutta un’altra serie di problemi. Il primo è quello con l’Europa, che invece stava progressivamente chiudendo gli spazi dell’automotive orientale. «I cavalli di Troia stanno bene nei libri di storia, l’Europa deve essere salvaguardata dai cinesi», dice Roberto di Maulo della Fismic Confsal.

Fabbrica Italiana Automobili Pechino

Ma il punto rimane soprattutto politico. Il governo Meloni ha improntato il suo programma nella difesa dell’italianità, quasi andando verso l’autarchia. Adesso che però il gioco si fa duro, comincia a giocare con i duri di Pechino. Così facendo dimostra che l’attrattività dell’Italia nei confronti degli altri paesi europei è bassa. E questo è un problema che non si risolve nemmeno con dieci Pnrr. E poi scopre il fianco a destra, in quell’autostrada di propaganda politica che Salvini ha già dimostrato di voler percorrere per evitare che la Lega sia percepita come la (brutta) copia di Fratelli d’Italia. Intanto il direttore generale di Stellantis Carlos Tavarez mette le mani avanti: «Abbiamo aumentato la sua produzione in Italia lo scorso anno del 9,6% arrivando a quasi 752.000 veicoli. L’obiettivo di un milione di automobili potrebbe essere raggiunto molto, molto rapidamente. Ma potrebbe anche finire compromesso se un altro produttore iniziasse a lavorare in Italia. «Se invitassimo più case automobilistiche cinesi a produrre in Europa, pensate che sarebbe d’aiuto?», ha detto a metà febbraio ai giornalisti.

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