Condannato l’autore dell’inno delle proteste in Iran che aveva vinto un Grammy, il caso di Shervin Hajipour per il brano «Baraye»
Il musicista Shervin Hajipour è stato condannato a tre anni e 8 mesi per il suo brano Baraye, divenuto l’inno della resistenza iraniana dopo l’uccisione di Mahsa Amini. Il regime di Teheran lo accusa di «propaganda contro il sistema e incitamento alla rivolta». Decretata dai Grammy 2023 «miglior canzone per il cambiamento sociale», il testo raccoglie le voci della rivoluzione iraniana: un lungo elenco di ragioni per cui le persone hanno iniziato a scendere nelle piazze per protestare contro lo strapotere e la repressione della teocrazia islamico-sciita. Hajipour è stato arrestato più volte, poi scarcerato lo scorso ottobre, fino alla condanna definitiva di ieri, arrivata nel giorno in cui oltre 61 milioni di iraniani si sono recati alle urne per le elezioni parlamentari e dell’Assemblea degli esperti. I risultati dello spoglio dei voti, iniziato oggi in tutti i 59mila seggi elettorali, verrà reso noto in serata. Per gli esiti preliminari, non ufficiali, diffusi dai media locali, il presidente Ebrahim Raisi, unico candidato del Khorasan meridionale, avrebbe ottenuto il seggio dell’assemblea. Ciò che è certo è il dato sull’affluenza: secondo l’agenzia Irna, soltanto il 41% degli aventi diritto è andato a votare (per gli attivisti il 30%, al 15% a Teheran). Si tratta del più alto dato di astensionismo registrato nella Repubblica islamica. Il precedente minimo storico era al 42,5% nelle elezioni parlamentari del 2020 mentre nelle precedenti consultazioni del 2016 l’affluenza si era attestata a circa il 62%.
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