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L’Italia agli ultimi posti Ue per aziende agricole gestite da under 40. Ma i giovani agricoltori fatturano il doppio – Le storie

In Italia soltanto il 9,3% di chi possiede un'azienda agricola ha meno di 40 anni. Tra questi Filippo Schiavone e Martina Codeluppi, che raccontano a Open le opportunità e le difficoltà di un settore in grande evoluzione

L’Italia non è un Paese per giovani agricoltori. Lungo la penisola soltanto il 9,3% di chi possiede un’azienda agricola ha meno di 40 anni, meno della metà rispetto alla Francia e poco più di un terzo rispetto all’Austria. A rivelarlo sono i dati di Istat ed Eurostat elaborati dal centro studi Gea, che Open ha visionato in anteprima e domani saranno presentati a Bruxelles durante un convegno con alcuni eurodeputati e il commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski. La ricerca mostra che l’Italia è al 20esimo posto tra i Paesi Ue per imprese agricole gestite dai giovani. Sul podio ci sono Austria, Polonia e Slovacchia, con la Francia che occupa il quinto posto e la Germania il decimo. Eppure, c’è da tenere in considerazione anche il rovescio della medaglia. Pur rappresentando meno del 10% del totale degli agricoltori, gli under 40 gestiscono in media aziende più produttive, sia in termini di quantità di ettari coltivati sia in termini di fatturato.

Pochi ma buoni

Il dato medio nazionale dice che un’impresa agricola gestita da under 40 fattura 1,7 volte di più. Il valore medio della produzione per queste aziende supera agilmente gli 80mila euro annui, mentre tra le imprese guidate dagli over 40 il dato scende sotto i 50mila. Non solo. I dati elaborati dal centro studi Gea mostrano che le imprese under 40 lavorano su quasi il doppio degli ettari: 18,29 contro i 9,87 dei loro colleghi più anziani. Anche a livello territoriale, le differenze sono notevoli. La Valle d’Aosta è la regione con la percentuale più alta di aziende agricole gestite dai giovani (15,74%), seguita da Sardegna (15,09%) e provincia autonoma di Bolzano (14,12%). A guadagnarsi la maglia nera è la Puglia, dove le imprese guidate da under 40 rappresentano appena il 6,76% del totale. Il divario generazionale si riflette anche sul livello di istruzione: quasi un giovane agricoltore su cinque (il 19,4%) è laureato, contro l’8,7% degli agricoltori over 40. Questo fa sì che siano soprattutto le aziende guidate dalle nuove generazioni a spingere il settore agricolo verso pratiche più sostenibili dal punto di vista ambientale.

Una corsa a ostacoli

Nella maggior parte dei casi, gli under 40 che gestiscono un’azienda agricola hanno ereditato l’attività dai propri genitori. «Per molti giovani l’agricoltura è una scelta di vita dettata dalla passione e dall’amore per il proprio territorio. Più facile se si è già parte di una famiglia che gestisce un’azienda, molto complicato se si vuole avviare una nuova attività», osserva Franco Ferroni, coordinatore dell’associazione Cambiamo Agricoltura. Ad oggi sono due i principali ostacoli a cui vanno incontro gli aspiranti agricoltori. Primo: la necessità di una buona dotazione finanziaria per far fronte agli investimenti iniziali. Secondo: i costi elevati dei terreni agricoli. In Italia, stando ai dati Eurostat, un ettaro di terreno coltivabile ha un prezzo di 22.600 euro, contro una media europea di 10.578. «Servono interventi per agevolare l’accesso al credito da parte dei giovani, in particolare per gli investimenti iniziali, senza dover fare affidamento sulle garanzie di parenti e conoscenti», aggiunge Ferroni. Quello economico, però, non è l’unico aspetto da considerare. A incidere sullo scarso ricambio generazionale contribuisce anche lo scarso appeal che la professione dell’agricoltore esercita sui più giovani, scoraggiati dalla prospettiva di entrare in un settore con ritmi di lavoro serrati e un ritorno economico spesso deludente.

Le proteste dei trattori

Molti di questi problemi sono finiti sotto i riflettori del dibattito pubblico grazie alle proteste dei trattori che da inizio anno si sono diffuse a macchia d’olio in tutta Europa. I motivi che hanno spinto gli agricoltori a scendere in piazza sono essenzialmente di tipo economico e ambientale. Sulla questione del reddito delle imprese agricole, osserva Ferroni, «c’è un’opinione unanime tra agricoltori giovani e più anziani». La situazione è la seguente: negli ultimi anni i costi di produzione per chi lavora la terra sono aumentati a dismisura, ma i prezzi di vendita non hanno seguito la stessa traiettoria, lasciando agli agricoltori margini di guadagno quasi inesistenti. L’altro motivo delle proteste è legato invece alla nuova Pac, la Politica agricola comune dell’Unione Europea, che condiziona l’accesso ai sussidi al rispetto di alcuni vincoli di sostenibilità ambientale. Su questo fronte però, precisa Ferroni, non tutti gli agricoltori la vedono allo stesso modo. «I giovani – osserva il coordinatore di Cambiamo Agricoltura – dovrebbero essere più propensi al cambiamento e attenti alla sostenibilità ambientale e sociale della loro attività. Non è sempre così purtroppo, molto dipende dal livello di istruzione e dalle esperienze personali».

Il richiamo della terra e l’incertezza economica

A confermare questa lettura sono gli stessi agricoltori. «Potenzialmente il nostro è il lavoro più bello del mondo, in realtà è il più difficile», fa notare Filippo Schiavone, 40 anni, titolare di un’azienda agricola e presidente di Confagricoltura Foggia. «Molti di noi – aggiunge – fanno questo lavoro per tradizione di famiglia. È il mestiere che hai sempre visto fare in casa e lo porti avanti in segno di continuità». La sua azienda agricola coltiva principalmente grano duro, ortaggi invernali e zafferano, ma con il passare degli anni il lavoro è diventato sempre più frenetico. «Ho iniziato a fare l’agricoltore quando avevo 21 anni e i ritmi economici erano molto più favorevoli. Oggi manca la certezza del reddito», spiega Schiavone. È della stessa idea anche Martina Codeluppi, che a 28 anni gestisce l’azienda agricola di famiglia in Emilia-Romagna ed è capo della sezione regionale di Agia, l’associazione giovani imprenditori della Cia (Confederazione italiana agricoltori). «Oggi come oggi, non puoi permetterti di sbagliare – spiega Codeluppi -. Noi ce la mettiamo tutta per salvaguardare il Made in Italy ma è difficile districarsi tra costi di produzione in aumento, fitopatie e cambiamenti climatici».

La sfida di un’agricoltura più sostenibile

L’azienda agricola di Codeluppi si estende su oltre 40 ettari di terreno e produce cereali, ortofrutta e non solo. «È una realtà prettamente femminile, abbiamo circa una ventina di dipendenti», racconta la giovane agricoltrice. Eppure, quando era ancora adolescente, Codeluppi non sognava di seguire le orme dei suoi genitori: «Ho studiato ingegneria all’Università di Padova, perciò ho un’istruzione scientifica. Quando ho finito gli studi, ho sentito il richiamo della terra e ora da circa 8 anni gestisco l’azienda di famiglia». Sulla questione dell’incertezza economica, Codeluppi e Schiavone la vedono tutto sommato allo stesso modo. Quando si passa ai temi ambientali, però, i punti di vista prendono strade diverse. «Gli agricoltori sono i primi ambientalisti al mondo. Hanno già fatto abbastanza e oggi è difficile chiedere loro di fare ancora di più», spiega Schiavone. La 28enne emiliana ha un approccio diverso: «Noi supportiamo la transizione ecologica e siamo più che pronti ad accogliere le direttive europee. Chiediamo soltanto che ci vengano dati gli strumenti adeguati», osserva Codeluppi. Per spiegare il proprio punto di vista, l’agricoltrice emiliana cita uno dei provvedimenti europei più contestati dal settore: la proposta di legge sui pesticidi ritirata dalla Commissione europea. «Siamo i primi a voler crescere prodotti più salubri, ma se le malattie continuano a presentarsi – si chiede Codeluppi – che alternative abbiamo?».

Foto di copertina: UNSPLASH/Zoe Schaeffer

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