Pino D’Angio, il ritorno a Sanremo con i Bnkr44: «Tre mesi prima mi hanno tolto un polmone. La malattia mi spaventa negli occhi degli altri»
È tornato sul palco, al Festival di Sanremo, a 21 anni dalla scoperta del primo tumore. Pino D’Angio, che all’Ariston ha duettato con i giovanissimi Bnkr44, ha 71 anni e negli anni Ottanta ha collezionato alcuni successi che, soprattutto all’estero, lo hanno reso una star. Ha doppiato i film di Woody Allen, il suo rimpianto è non esser riuscito a fare Jago nell’Otello di Zeffirelli, ha scritto canzoni per Mina, ha recitato per Tornatore, ha vinto un Grammy e oltre nove dischi d’oro… ma tutti gli chiedono ancora di Ma quale idea. «Per una persona che ha costruito un palazzo di 50 piani, possibile che ti chiedono sempre la terza finestra a sinistra?», si sfoga in una lunga intervista a SuperGuidaTv, in cui parla anche della sua malattia e spiega perché ha voluto affrontarla pubblicamente solo dopo lunghi anni di cure. «Secondo lui, viene usato ormai come fattore spettacolo. Sono una cosa seria, c’è gente che muore tutti i giorni, ci sono famiglie che vengono distrutte da queste cose e invece viene usato come se fosse una cosa da esibire per fare spettacolo, nei film, nelle serie, in tv. Non lo so, a me non pare il caso poi ognuno fa quello che gli pare». Un parere il suo, motivato dalle vicende personali. In passato ha avuto sei operazioni alla gola, due tumori polmonari, una trombosi agli arti inferiori, un infarto e un arresto cardiaco.
Sul palco di Sanremo
Nonostante gli acciacchi, ha risposto subito positivamente alla richiesta dei Bnkr44 e al benvenuto di Amadeus, che aveva già chiesto all’artista di esibirsi come ospite all’Arena Suzuki. «I ragazzi del gruppo conoscevano la canzone e la canticchiavano ancora prima del Festival di Sanremo. Sono stato chiamato con mia grande sorpresa. Non me l’aspettavo proprio», ha ammesso, «ma se vogliamo dirla tutta, il Festival era a febbraio e il 9 novembre del 2023, tre mesi prima, mi è stato tolto un polmone sinistro. Tre mesi prima di quel ballo sul palco – sulle note proprio di Ma quale idea durante la serata duetti -, non mi hanno curato, mi hanno proprio aperto il torace e tolto un polmone, che era pieno di tumori, e mi hanno ricucito. Perché ballo a Sanremo sul palco? Perché mi viene, perché mi diverto, perché questo non cambia la vita».
La telefonata a Gianni Morandi
Pino D’Angio, nome d’arte di Giuseppe Chierchia, racconta poi numerosi dettagli della sua carriera e della vita privata. Come quando fu chiamato per Sanremo giovani e finse di svenire, per non partecipare dopo aver saputo che sarebbe stato eliminato. O come quando ricorda un’importante telefonata a Gianni Morandi, con il quale prima di quella conversazione, era solito litigare. «Mi ha aiutato senza mai chiedermi niente in cambio, senza nessun interesse», spiega il cantautore, prima di raccontare l’episodio che li ha uniti. «A un certo punto della mia carriera le mie attività fondamentali erano la conduzione di programmi per la Rai, dove parlavo col microfono, e i concerti, dove cantavo in un microfono», ricorda. Poi gli viene diagnosticato il tumore alla gola e gli sparisce la voce: «Non potevo fare più trasmissioni, condurre programmi, cantare, fine dei concerti, fine di tutto». La paura più grande è quella di morire e lasciare la famiglia nei debiti. «Non so perché, davvero non so perché, però fatto sta vado a chiamare l’unica persona con cui litigo sempre», e telefona a Morandi chiedendogli un grosso prestito. Il collega non fa una piega: senza chiedere spiegazioni gli fa il prestito e poi per tre anni, «perché ci ho messo tre anni a restituirglielo», non ha mai accennato a quei soldi.
Nessuna battaglia contro il tumore
Cosa gli ha insegnato la malattia? «Un’ansia che non finisce mai», ammette il cantautore, «si dice sempre “sta combattendo contro il cancro”, ma contro il cancro purtroppo non si combatte. Non esiste un combattimento, è tutto un bla bla bla, una retorica. Purtroppo malattie come queste ti obbligano solamente ad aspettare e a sperare che tutto vada bene. A sperare che le cure funzionino, a sperare che tu c’è la faccia a salvarti. E a me è andata bene tante volte». Racconta poi come ha provato a tenere tutto dentro, mostrarsi allegro con parenti e amici per non vederli soffrire. Ma la malattia è subdola. «La cosa peggiore è vedere la tua malattia negli occhi degli altri, tutti ti guardano in un altro modo», ricorda, «non vuoi che la gente soffra, la gente a cui tu vuoi bene soffra, perciò scherzi, stai allegro. Poi chiudi la porta la sera, spegni la luce, stai con gli occhi aperti al buio e aspetti. Questo è l’atteggiamento. Cosa mi ha insegnato la malattia? A sperare».
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