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Russia, le cliniche segrete per le «terapie di conversione» dell’omosessualità: isolamento, ipnosi e preghiere

04 Marzo 2024 - 17:46 Redazione
Un'inchiesta di Current Time Tv, media in russo fondato da Radio Free Europe/Radio Liberty, ha svelato cosa avviene in 12 strutture sparse nel Paese

Dodici “cliniche” in tutto il Paese, dalla regione di Mosca a quelle del Caucaso, dove si “cura” l’omosessualità con l’isolamento prolungato e le preghiere. A svelare gli istituti top secret che praticano le cosiddette «terapie di conversione» è una inchiesta di Current Time Tv, un canale in lingua russa fondato nel 2017 da Radio Free Europe/Radio Liberty e Voice of America. La crociata di Vladimir Putin contro l’omosessualità è ben nota. A giugno gli attivisti denunciavano una direttiva presidenziale che faceva menzione delle terapie di conversione e lo scorso novembre, sulla scia di una battaglia iniziata da tempo, la Russia ha vietato l’attività dell’inesistente «movimento Lgbt+ internazionale» per «estremismo», con una sentenza che dà la possibilità di intervenire in maniera abbastanza indiscriminata contro attivisti e persone comuni, anche con il carcere. Nell’inchiesta emerge come questi centri di “cura”, tra istituzioni e studi privati, godano anche dell’appoggio di numerosi medici e leader religiosi. In queste cliniche, alcune delle quali si occupano anche di tossicodipendenza, il “paziente” – che spesso viene fatto rapire su input della famiglia per farlo “ricoverare” – viene messo in isolamento forzato «almeno 6 mesi», senza alcun contatto con l’esterno. Le uniche attività quotidiane sono i colloqui con gli psicologi e le sedute di preghiera. Il costo dei trattamenti è di circa 1.400 dollari al mese. Uno di questi centri certificati, che opera però segretamente come gli altri, offre dei trattamenti di ipnosi in video collegamento. Come riferisce l’emittente, secondo un rapporto del gruppo Coming Out e della Fondazione Sphere nel 2022 una persona su tre delle 6.500 della comunità Lgbtqia+ intervistate ha dichiarato di aver subito violenze o discriminazioni in Russia. E il 58 per cento degli intervistati ha ammesso che, nel caso dovesse subire una molestia, non denuncerebbe per paura di condividere le proprie informazioni con la polizia.

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