Il «bonus mamma» è una beffa? No, ma ecco perché in busta paga non c’è l’aumento atteso da molte
In questi giorni, con il pagamento degli stipendi di febbraio, le lavoratrici madri beneficiarie dell’esonero contributivo – il cosiddetto “bonus mamma” – si aspettavano di ricevere un cospicuo aumento netto in busta paga. Invece, gli aumenti sono stati modesti e molti hanno descritto il bonus come una beffa. Ma è davvero così? Non proprio. Innanzitutto perché la mancata corrispondenza tra l’esonero contributivo e il netto percepito era annunciato. L’ufficio parlamentare di bilancio, già nell’audizione preliminare all’esame del disegno di legge, con la relazione del 14 novembre 2023 indicava che la minore contribuzione a carico delle lavoratrici avrebbe generato un maggiore gettito per l’erario e che tale maggior gettito andava a compensare parzialmente i costi delle minori entrate contributive.
«Bonus mamme»: cosa prevede e chi può beneficiarne
La legge di bilancio 2024 ha previsto un esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (cosiddetti contributi IVS, pari a 9,19% dello stipendio) a carico delle lavoratrici madri di due (per il solo 2024), tre o più figli (fino al 2026) e l’INPS ha diffuso le istruzioni per la sua applicazione con la circolare n. 27/2024 dello scorso 31 gennaio 2024. L’agevolazione pensata per sostenere la natalità e, più in particolare, le famiglie numerose, consiste in un’esenzione contributiva per le madri che svolgono un lavoro dipendente a tempo indeterminato nel settore pubblico o privato, anche part-time. La misura interessa circa 800mila madri. Nel settore privato le mamme lavoratrici con due figli, di cui uno sotto i 10 anni, sono circa 571mila, mentre quelle con tre o più figli di cui uno minorenne sono 111mila.
In questo articolo analizziamo solo l’applicazione del beneficio per il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 2024:
- è riconosciuto alla lavoratrice madre (con due o tre figli) qualora sia in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
- la soglia massima di esonero della contribuzione dovuta dalla lavoratrice, riferita al periodo di paga mensile è di 250 euro (€ 3.000/12) e, per i rapporti di lavoro instaurati o risolti nel corso del mese, detta soglia va riproporzionata assumendo a riferimento la misura di 8,06 euro (€ 250/31) per ogni giorno di fruizione dell’esonero contributivo;
- è riconosciuto alla lavoratrice madre (con due o tre figli) qualora sia in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
- la soglia massima di esonero della contribuzione dovuta dalla lavoratrice, riferita al periodo di paga mensile è di 250 euro (€ 3.000/12) e, per i rapporti di lavoro instaurati o risolti nel corso del mese, detta soglia va riproporzionata assumendo a riferimento la misura di 8,06 euro (€ 250/31) per ogni giorno di fruizione dell’esonero contributivo;
- qualora il rapporto di lavoro a tempo indeterminato venga instaurato successivamente alla realizzazione dello status di madre con due o tre figli, l’esonero, in presenza dei requisiti legittimanti, troverà applicazione a partire dal mese di decorrenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
- l’esonero è riconosciuto a partire dal mese di nascita del secondo o terzo figlio (sempreché sia già in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato);
- l’esonero qui analizzato termina il 31 dicembre 2024 o nel mese di compimento del decimo anno di età (da intendersi come 9 anni e 364 giorni) del figlio più piccolo, qualora si realizzi prima della scadenza prevista del 31 dicembre 2024.
Non possono accedere al bonus le mamme che non hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e sono escluse anche tutte le autonome e le precarie, oltre alle lavoratrici domestiche. Per ottenere il bonus si comunica al datore di lavoro di possedere i requisiti per ottenerlo, indicando con un’autodichiarazione il numero dei figli a carico e i relativi codici fiscali. Successivamente il datore di lavoro potrà inserire la richiesta nelle denunce contributive inviate mensilmente all’INPS.
Come viene calcolato il netto in busta paga
Il netto dello stipendio di un lavoratore dipendente italiano è costituito da retribuzione lorda meno contributi a carico dipendente IVS, meno le imposte (Irpef e addizionali regionali e comunali) e meno eventuali detrazioni da lavoro dipendente. Solitamente le imposte si versano sulla differenza tra retribuzione lorda e contributi IVS.
Il bonus mamme rappresenta uno sconto sui contributi IVS e può coprire fino a 250 euro al mese e tremila euro all’anno al massimo. Tuttavia proprio per effetto dell’esonero contributivo in busta paga, aumenta l’imponibile fiscale del lavoratore, aumenta l’imposta Irpef lorda da pagare, e si potrebbe ridurre anche la detrazione per lavoro dipendente. Facciamo un esempio: una lavoratrice con uno stipendio mensile di 1.500 euro mensile, di solito, versa all’Inps il 9,19% per i contributi IVS; ossia 137,85 euro mensili. Con il “bonus mamma” ne verserà zero poiché beneficia di un esonero contributivo totale pari a 137,85 euro. La somma di € 137,85 non costituisce però l’aumento sul netto in busta paga perché, come detto, aumenta la base imponibile e quindi le tasse a carico della lavoratrice. Nel caso della nostra dipendente, l’aumento netto in busta paga – con esclusione delle addizionali regionali e comunali e dell’eventuali detrazioni da lavoro dipendente – sarà pari a 106,34.
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