Gino Cecchettin ai genitori: «Con i figli non facciamo gli amici». Il tatuaggio mai confessato a Giulia
Per Gino Cecchettin è il primo 8 marzo senza sua figlia Giulia, uccisa l’11 novembre dal suo ex fidanzato, Filippo Turetta. Sono tante le domande che ancora oggi l’uomo si fa e a cui cerca di dare risposte. A cominciare dall’interrogativo che torna insistente, dice in un’intervista a Conchita Sannino su Repubblica, e cioè se quella tragedia si poteva evitare e che cosa è stato sbagliato: «Continuamente, te lo chiedi. Ma a me stesso, prima: cosa potevo fare. E dopo allo Stato, alla sicurezza. Io potevo parlare di più con lei. Scavare, magari non dare tanta libertà a una ragazza che pure era responsabile, coscienziosa come lei». Il timore di Gino Cecchettin è che sua figlia «si sia limitata nelle sue conversazioni, perché non voleva farmi preoccupare. Perciò dico ai genitori, quando me lo chiedono: non dobbiamo aver paura di violare anche la loro privacy, non dobbiamo fare gli amici o pensare che tutto andrà necessariamente come loro pensano che vada. Dobbiamo perdere tempo, con loro».
Poco prima della morte di Giulia Cecchettin, suo padre racconta di aver fatto un tatuaggio dedicato a sua moglie Monica, morta per un tumore. Ma non aveva fatto in tempo a rivelarglielo: «Forse ho avuto anche pudore, a confessarlo a Giulia, quel tatuaggio. Sì, sulla spalla ho una rosa col nome di mia moglie, un gesto che ho fatto d’impulso, alla fine dell’estate scorsa: così mi portavo Monica sempre con me, ed era anche il segno di una ripartenza inattesa, gioiosa. Perché Giulia si stava per laureare e noi avevamo ricomposto un’armonia…».
Nel suo libro «Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia» (Rizzoli), Gino Cecchettin racconta di aver provato a scrivere «la grave lezione che ho appreso tra le altre», cioè quella sul tempo e sulle cose importanti che spesso si danno per scontante: «Spero di riuscire a vivere diversamente, e che sia utile. L’amore di Giulia mi ha aiutato a scriverlo: non è un santino retorico, lei davvero voleva bene a ogni essere vivente, dialogava con tutti. Ha aiutato compagne a scuola , neanche sapevo quanto. Ha donato molto il suo tempo, ecco».
Su Turetta, che non cita mai nel suo libro, Gino Cecchettin scrive che «personale è una parola che non deve neanche entrare nella mia mente». E spiega: «Sì, perché a me è stato tolto tanto. È difficile perdonare quando ti viene stroncata la possibilità che hai di vivere una vita felice. Poi, forse, un giorno. Ma ora mi concentro sulla parte della luce». Ma con i genitori di Turetta, Cecchettin rivolge un’apertura: «Non ho rancore verso di loro. Non posso averne. Anzi, se vorranno una parola, io ci sono e ci sarò».
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