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Chef Rubio deve cancellare i post antisemiti, la decisione del Tribunale di Roma: accolto il ricorso dell’associazione Setteottobre

12 Marzo 2024 - 19:50 Redazione
I giudici hanno imposto a Gabriele Rubini anche di fissare in testa al suo profilo X il dispositivo del provvedimento per 30 giorni

Chef Rubio, al secolo Gabriele Rubini, dovrà rimuovere dal social X tutti i post antisemiti e diffamatori nei confronti dell’associazione Setteottobre. Lo ha deciso in via cautelare il Tribunale di Roma, che ha accolto il ricorso dell’associazione. I giudici hanno ordinato a Rubini di rimuovere dal suo profilo le «comunicazioni illecite e lesive per cui è in procedimento, con fissazione di una penale» di 500 euro per ogni giorno di ritardo nella rimozione. Il Tribunale ha deciso poi di inibire a Rubini a un’ulteriore diffusione delle stesse comunicazioni, altrimenti va incontro a una multa di 3mila euro per ogni volta che viola questo ordine in futuro. Inoltre, il giudice «ha disposto la pubblicazione dell’intestazione e del dispositivo dell’emanando provvedimento, per due volte, a caratteri doppi del normale e su almeno due colonne del quotidiano la Repubblica, a cura e a spese di Rubin». Infine, si legge nell’ordinanza, il tribunale ha ordinato allo Chef «la pubblicazione su X dell’immagine dell’intestazione e del dispositivo del provvedimento in modalità fissa sul profilo per 30 giorni». In caso contrario, si aspetti una multa di 500 euro per ogni giorno di ritardo nel farlo.

La reazione dell’associazione Setteottobre

«Il signor Rubini in un post aveva accusato Setteottobre di “difendere i valori” di “pulizia etnica, di genocidio, di occupazione nazista della Palestina per mano dei suprematisti ebraisti e dei coloni terroristi, in un secondo post aveva accusato Setteottobre di promuovere odio, morte, distruzione, menzogne e disumanità, equiparando il sionismo al nazismo, fascismo, suprematismo odio arabo e antimusulmano», racconta l’associazione. Soddisfatta per la decisione del tribunale, Setteottobre fa appello affinché «nel dibattito pubblico, specie su temi importanti e drammatici come il conflitto in corso, il diritto di manifestazione delle diverse opinioni non travalichi i limiti della legge e non attenti all’immagine e alla reputazione altrui».

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