Il deejay dipendente da chetamina e pasticche: «Oggi ci sono sostanze nuove e devastanti, io sto provando a uscirne»
Il suo nome d’arte è Cescx ed è un deejay emergente. Ha 29 anni e ora si trova a Torino, nel centro di crisi e trattamento delle diagnosi delle nuove dipendenze del Gruppo Abele. «Sono nato in una famiglia di musicisti e ho sempre voluto fare solo quello. Ho scoperto la musica elettronica a Milano, in un locale dove si faceva sperimentazione, giravano artisti di fama internazionale. Girava tanta droga. Poi c’è stata l’esplosione del mito di Berlino. E sono partito», racconta. Lì ha fatto parte di un gruppo di riduzione del danno: «Spiegavano come dosare le sostanze per evitare di stare male», dice oggi a La Stampa.
Il Serd di Genova
«In quel mondo non si usa tanto il crack, ma le pasticche, la chetamina. A un certo punto però, il mio uso è cambiato. Ho avuto dei problemi personali, come la sensazione di soffrire della disforia di genere. Il mio uso di droghe è diventato fuori controllo. E Berlino è un posto dove nessuno ti ferma. All’ultimo festival ero sempre costantemente fattissimo. Le persone sono cambiate con me. Vedevo la paura negli occhi dei miei amici. Venivano in tenda a vedere se ero vivo o morto. Vedere le loro reazioni mi ha spinto a fare qualcosa», spiega. Mentre oggi «ci sono sostanze nuove e devastanti. A Berlino c’è stata un’ondata fortissima di mefredone. Dà un craving fortissimo, ti porta a masturbarti per giorni interi. Non lo sapevamo, noi del gruppo del riduzione del danno, che fosse così. Nessuno ce lo aveva spiegato. E siamo diventati tutti dipendenti. Al Serd di Genova hanno fatto un lavoro eccellente. Mi hanno detto che non avevo bisogno di cure farmacologiche. E mi hanno consentito di seguire una terapia psicologica gratis. Questo è fondamentale».
La ricaduta
Poi è arrivata una ricaduta: «Mio papà voleva darmi una mano, e pagarmi una camera e mi ha dato i soldi, tutti insieme. Me li sono sniffati tutti. A Genova è così. In ogni cucina in cui vai, trovi la coca. Il crack costa ancora meno. E adesso succederà lo stesso col Fentanyl, come in America. Ma qui in Italia non se ne parla, dunque, non impariamo niente. In Italia devi lottare contro lo stigma del drogato. Conosco ragazzi brillanti che hanno avuto una caduta nella spirale. Io mi sono fatto aiutare perché ho lavorato per eliminare lo stigma. Al Serd non vanno i drogati. Vanno le persone». Per questo oggi è a Torino: «A volte è noioso. Ma impari che bisogna annoiarsi, anche. Stare qui è svuotante delle cose di cui ci riempivamo prima, anche a livello metaforico. Ci sono momenti in cui voglio scappare e momenti in cui voglio abbracciare gli operatori e dire loro grazie. Perché questo posto è una benedizione e dovrebbero essercene molti di più».
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