Pazienti sempre più giovani, danni (mai recuperati) della pandemia, tempi di attesa troppo lunghi: così aumentano i casi di disturbi alimentari
Prima il taglio (poi reintegrato) del governo Meloni sui fondi destinati ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (dna), ora una proposta di legge del Partito Democratico volta alla prevenzione e alla cura degli stessi. Sebbene la politica stia tentando timidamente di accendere i riflettori sul tema, che rappresenta un’emergenza sociale e sanitaria, il quadro è sempre più allarmante. Dal 2019 ad oggi, c’è stato un aumento del 40% dei casi. Nel nostro Paese, secondo i dati del Ministero della Salute, più di tre milioni di persone soffrono di dna. Si tratta di una vera e propria epidemia esplosa vertiginosamente durante il periodo delle restrizioni dovute al Covid, che ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale della popolazione e un incremento di diagnosi di almeno il 30-35%. E gli esperti rilevano che il numero di diagnosi non è ancora tornato ai livelli pre-pandemia. È preoccupante notare, inoltre, come l’età di insorgenza dei disturbi alimentari stia diminuendo, con il 30% dei casi che si manifesta prima dei 14 anni (dati del 2023). Dai centri medici segnalano casi di bambini di soli 8/9 anni di età che presentano sintomi di disturbi tipici dell’adolescenza o dell’età adulta e non più quelli propri dell’età infantile.
Tra i più piccoli preoccupa il disturbo Arfid
Anoressia, bulimia e binge eating sono i disturbi più frequentemente diagnosticati. Valeria Zanna, responsabile dell’Unità Operativa Anoressia e Disturbi Alimentari dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, riferisce all’Ansa come nei pazienti più piccoli si registri sempre più spesso un particolare disturbo, quello evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo, più sinteticamente chiamato Arfid. Come riporta l’Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso (AIDAP), vi sono tre modalità attraverso cui si manifesta questo disturbo: evitamento del cibo per mancanza di interesse apparente per il mangiare o il cibo (noto anche come disturbo emotivo di evitamento del cibo); evitamento sensoriale del cibo, correlato alle sue proprietà sensoriali come aspetto, odore, consistenza, gusto o temperatura; evitamento del cibo dovuto a preoccupazioni per le conseguenze negative del mangiare, come il soffocamento, il vomito o il malessere.
Le (lunghe) liste d’attesa
Nella prevenzione e nella cura dei disturbi alimentari giocano un fattore cruciali i tempi con cui si interviene. Le patologie legate ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, se trascurate, possono comportare gravi complicazioni a livello organico che coinvolgono tutti gli apparati del corpo: cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico e altri ancora. Un aspetto da non sottovalutare perché aumenta il rischio di cronicizzazione della patologia. Nei casi più gravi, può portare alla morte, soprattutto nel contesto dell’anoressia. Ma troppo spesso ci si scontra con liste di attesa troppo lunghe e non idonee. Va dai 3 ai 6 mesi il tempo medio di attesa nel nostro Paese per essere presi in carico dal servizio sanitario nazionale. In alcuni casi, ci può volere anche un anno prima di ricevere una diagnosi. Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i centri dedicati ai disturbi del comportamento alimentari sono in tutto 126, di cui 112 pubblici e 14 privati. Quanto ai finanziamenti, il governo ha destinato 10 milioni di euro per il 2024 per sostenere i centri e i percorsi di cura dedicati ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Tuttavia, esperti e associazioni continuano a denunciare quanto quest’operazione sia insufficiente ad affrontare la problematica.
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