Tiziana Panella, lo spavento per il compagno Vittorio Parsi e la scoperta della malattia degenerativa: «Mi ha salvato mia figlia»
Poco prima di Natale si era raccontata al Corriere della Sera in una intervista rimasta in standby per quello che sarebbe accaduto di lì a pochi giorni. Il 27 dicembre infatti il compagno Vittorio Emanuele Parsi, professore e politologo, mentre parlava sul palco a Cortina, era stato colpito da un malore che lo aveva costretto a un ricovero e un’operazione d’urgenza. Resta in coma per giorni, in condizioni gravissime. Due mesi più tardi, dopo aver documentato la riabilitazione e i primi passi in avanti, è stato lui stesso a raccontare la sua esperienza pre-morte, e di come il volto della compagna lo abbia guidato nel buio. Tiziana Panella, giornalista e conduttrice di Tagadà su La7, ha conosciuto il professore proprio invitandolo come ospite nel suo programma. «Galeotta è stata la guerra in Ucraina, due anni fa. Lui è stato molto spesso mio ospite e abbiamo cominciato a sentirci», ha raccontato al Corriere, «poi lentamente, pendolari dell’amore: lui a Milano, io a Roma». Aveva ammesso di essere innamorata, felice: «Sto vivendo un amore in pace, senza nessun tormento. È il mio compagno da un anno e mezzo, dopo un lungo periodo di sofferenza e assenza». Poi quel 27 dicembre rischiava di portarsi via tutto. «Saremmo dovuti partire il giorno dopo, andare al caldo per le vacanze. Lui era a Cortina per la presentazione del suo libro», ripercorre quei giorni, «mi ha chiamato che stava male. Poi il 28 mattina la notizia del trasporto in elisoccorso verso Treviso per l’operazione. Sono corsa e quando sono arrivata da Roma, era in sala operatoria». Quell’episodio l’ha avvicinata alla prima famiglia di Parsi: in terapia intensiva c’era sempre, insieme all’ex moglie e alle figlie. «Prima non avevo rapporti con loro, ma la conoscenza e l’amore per lui ci hanno fatto diventare una famiglia unita. Ciascuno con il suo dolore», spiega oggi, «ho toccato con mano quanto amore c’era attorno a lui. Ma mi porto dietro la paura devastante».
La malattia degenerativa
La giornalista racconta che ogni giorno, su WhatsApp, scriveva un lungo messaggio al compagno, come fosse un diario. E di aver tirato un sospiro di sollievo «quando mi ha stretto la mano e ho capito che mi sentiva. Ma ho respirato davvero solo quando lui è uscito dalla terapia intensiva». Nell’intervista però, oltre a parlare della famiglia in cui è nata e vissuta, delle sue passioni, dei suoi esordi e della sua carriera, rivela anche un particolare che non aveva mai condiviso. Si tratta di una scoperta che ha fatto subito dopo aver dato alla luce sua figlia Lucia nel 2003, avuta dal matrimonio precedente con medico, un neurochirurgo che l’aveva operata alla schiena dopo un infortunio di danza e con il quale è stata sposata 15 anni. «Prima ero molto impegnata con il lavoro, poi ho cominciato a pensare alla maternità e quando è nata Lucia ho scoperto una vocazione», torna a raccontare, «avevo già 35 anni: se ne avessi avuti 20 avrei fatto una squadra di calcio. È certamente il viaggio più bello della vita. Con Lucia mi si è accesa la vita. Ma sul serio». Cosa nascondano quelle parole, lo spiega subito dopo: «Quando è nata mia figlia ho scoperto una malattia degenerativa. Mi hanno detto: “Salutala”. L’ho tenuta stretta per mano, per tre mesi, in ospedale. Devastata. Nel frattempo la mia salute migliorava. A tutt’oggi l’evoluzione della mia malattia è considerata un miracolo. Il mio rapporto con Lucia è particolarmente speciale». Tanto che non la sorprende affatto che la figlia si sia iscritta a Medicina: «Vuole salvare vite. Del resto cos’altro poteva fare? Penso che davvero sia il suo mestiere. Salva le vite da quando è nata».
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