Università telematiche, boom di studenti ma rischio fallimento con le regole di Draghi. Il governo Meloni le salverà?
Tanti studenti, pochi (pochissimi) docenti, e fatica a raggiungere gli standard qualitativi richiesti dal governo. Nonostante il boom di iscrizioni degli ultimi anni nelle università telematiche, queste realtà rischiano ora la chiusura, a meno che il ministero dell’Università e della Ricerca non trovi un compromesso che faccia da salvagente. Su di loro pende, infatti, una spada di Damocle: un decreto del 2021 dell’allora governo Draghi, su cui la politica si è divisa a lungo. Si tratta del D.M 1154/2021 che ha imposto nuovi standard di adeguamento entro il 2025 per tutte le università, comprese quelle telematiche, al fine di stabilire un rapporto più stretto tra il numero di docenti e quello degli studenti iscritti, aumentandolo di tre volte. Poco dopo, un decreto direttoriale ha fissato al 30 novembre 2024 la data di verifica dei requisiti. Il decreto giunse sulla base del parere della Conferenza dei Rettori e dell’Anvur (l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca). Un rapporto di quest’ultimo, infatti, mise in evidenza l’enorme discrepanza tra università tradizionali e online per quanto riguarda il numero di professori e studenti. Nel 2022 gli atenei classici avevano in media un professore ogni 28,5 studenti, mentre le università telematiche avevano 384,8 alunni per docente. Una differenza sostanziale, che ha generato preoccupazione nel settore riguardo alla qualità dell’insegnamento, scatenando un acceso dibattito politico.
Boom di iscritti, ma anche di decreti
In Italia ci sono in totale 11 università telematiche, tra cui noti istituti come Pegaso, Leonardo da Vinci, Mercatorum e Niccolò Cusano. Queste realtà hanno una storia relativamente recente, essendo state istituite nei primi anni duemila. Ciononostante, la loro crescita è stata notevole e repentina. Stando ai dati dell’Anvur, in dieci anni il numero di iscritti alle università telematiche è quintuplicato, passando da circa 44mila nel 2012 a 224mila nel 2022 (+180mila). Di conseguenza, la loro percentuale rispetto al totale degli studenti universitari in Italia è salita dal 2,5% all’11,5%. Nel corso degli anni, la regolamentazione di queste università è stata soggetta a diversi decreti. Tuttavia, è in particolare il decreto di Draghi ad essersi rivelato una vera e propria spina nel fianco per questi undici atenei.
Il salvagente (sospetto) della Lega
Riuscire ad equiparare il rapporto tra il numero dei docenti e di studenti agli standard delle università tradizionali impone costi altissimi e standard di reclutamento difficilmente raggiungibili nel breve periodo. Su questo, è intervenuta la Lega che lo scorso gennaio, durante la discussione del decreto Milleproroghe, ha presentato un emendamento – a firma di Laura Ravetto, Alberto Stefani, Simona Bordonali, Edoardo Ziello e Igor Iezzi – in commissione Affari costituzionali della Camera per chiedere una proroga di un anno della verifica degli standard qualitativi delle università online. Un tentativo non del tutto disinteressato se si posa lo sguardo sui corposi finanziamenti che la Lega ha ottenuto da alcuni di questi atenei. Ad esempio, hanno spesso fatto parlare le decine di migliaia euro donate dalle società legate a E-Campus in occasione delle ultime politiche. Nonostante gli sforzi del Carroccio, il blitz al Milleproroghe non ha avuto il successo sperato.
Il tavolo di confronto col ministero e un futuro incerto
L’emendamento, infatti, ha trovato il muro della ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, che ha spinto la Lega a ritirare la proposta di proroga. In cambio, la ministra ha istituito un gruppo di lavoro incaricato di esaminare la questione e proporre eventuali compromessi. Dal canto loro, i vertici degli atenei online sostengono che imporre lo stesso rapporto tra studenti e docenti per tutte le università rischia di essere fuorviante, poiché ignora le specificità di ognuna di esse. A partire dal fatto che le università telematiche non necessitano di una didattica in presenza e sincrona, ma vivono di lezioni che vengono lasciate su piattaforme ad hoc a cui gli studenti possono accedere senza limiti di orario. Nonostante le divergenze, da parte loro pare esserci tutta la volontà (e ovviamente l’interesse) di dialogo: l’associazione delle università digitali italiane, United, che rappresenta la maggior parte degli atenei online, in questi giorni ha fatto sapere di aver depositato presso il ministero della Ricerca un documento con una serie di soluzioni per proseguire e sviluppare la discussione. Il tempo, però, stringe e per il momento il destino degli atenei online resta incerto, appeso a un tanto desiderato compromesso che possa garantire loro la sopravvivenza.
Leggi anche:
- Molestie e violenze, le università non sono spazi sicuri per il 20% degli studenti. E gli studi dei prof sono i più pericolosi – I dati
- Migliaia di laureati in Medicina e Infermieristica scoprono che il titolo è fasullo: bufera sull’Istituto italo-bosniaco a Palermo
- I convegni alla Normale di Pisa sull’Iliade e Achille in una prospettiva queer e trans