Processo Regeni, i pm: «Così gli 007 egiziani hanno stretto una ragnatela attorno a Giulio». I giudici: «Fu torturato e ucciso brutalmente»
Tra settembre 2015 e gennaio 2016 gli imputati hanno stretto una vera e propria «ragnatela» attorno a Giulio Regeni. Una ragnatela creata tramite l’acquisizione a sua insaputa del passaporto, perquisizioni domiciliari mentre era assente, pedinamenti, fotografie e video, ma anche attraverso le persone che il ricercatore considerava amiche e che in realtà riferivano in tempo reale ai quattro imputati quanto accadeva nei loro incontri. Questo è quanto successo 8 anni fa al Cairo, secondo la ricostruzione delineata dalla Procura di Roma nel processo a carico degli 007 egiziani accusati in contumacia di rapimento, tortura e omicidio del ricercatore italiano, credendolo una spia inglese. Niente mezzi termini anche dalla Corte d’Assise che, nell’ordinanza di rigetto delle eccezioni avanzate dai difensori dei quattro 007 sulla «mancata identificazione degli imputati», ha descritto la violenza fisica «brutale e gratuita» inflitta al ricercatore, causandogli sofferenze corporali estreme che hanno inevitabilmente portato alla sua morte. Inoltre, hanno sottolineato i giudici, le modalità di sequestro «non possono aver tratto ispirazione che alle pratiche punitive e intimidatorie tipiche della tortura pubblica».
I depistaggi degli 007 egiziani
All’attenzione dei magistrati è arrivata una lista di testimoni, depositata dal Procuratore aggiunto, in cui – tra gli altri – vi sono i nomi dell’ex premier Matteo Renzi e dell’ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, come parte di un’indagine complessa che si è dovuta scontrare per anni con l’ostilità delle autorità egiziane e vari depistaggi. Il pm ha definito in tutto dieci gli elementi probatori cruciali contro i quattro imputati, tra cui i video della fermata della metropolitana del Cairo dove il ricercatore è stato sequestrato – ma in cui mancano i dieci minuti in cui venne preso -, il computer della vittima che ha fornito indizi sul movente e i tabulati telefonici. Inoltre, anche i tentativi di depistaggio delle autorità egiziane – dal movente sessuale alla rapina, fino al ritrovamento dei documenti di Regeni in un’abitazione collegata ad una banda di criminali, poi uccisa dalle forze dell’ordine egiziane – sono stati considerati prova dell’implicazione degli imputati.
La Procura: «La Farnesina si attivi per i 27 testimoni dell’Egitto»
La Procura ha inviato una vera e propria richiesta di aiuto e supporto al Ministero degli Esteri per permettere l’ascolto dei 27 testimoni che vivono in Egitto, fondamentale – a loro avviso – per una completa ricostruzione dei fatti. «Solo la polizia egiziana può notificare gli atti e dare il via libera per ascoltare a processo i 27 testimoni inseriti nella nostra lista e che vivono in Egitto», ha dichiarato il il rappresentante dell’accusa. Nella prossima udienza del 9 aprile, Claudio Regeni – il padre di Giulio – verrà ascoltato come testimone. La famiglia del ricercatore ha preferito non commentare l’incontro di domenica tra la presidente del Consiglio italiana e il presidente Al Sisi, ma si è limitata a dire: «Non commentiamo le parole di Giorgia Meloni, diciamo solo che nel nostro Paese fortunatamente c’è la separazione dei poteri, a differenza di quello che succede nei regimi».