Pioltello, il preside della scuola che chiude per il Ramadan: «Riconosciamo la specificità del nostro contesto»
Alessandro Fanfoni è dirigente scolastico dell’istituto Iqbal Masik di Pioltello. La scuola che ha deciso di chiudere per la fine del Ramadan si trova al centro delle polemiche. Il ministro della Pubblica Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara si è schierato contro. Mentre per i genitori quella è la loro normalità. Fanfoni spiega di essere da due giorni nel mirino degli hater: «Spero che non compiano gesti contro la scuola, ne sarei dispiaciuto», dice oggi all’edizione milanese del Corriere della Sera. Ricorda poi che la decisione di chiudere è arrivata dopo una riflessione di alcuni docenti ed è stata votata dal Consiglio d’Istituto. Nel nostro contesto l’Eid-El-Fitr non è un giorno normale di lezione: manca metà classe. Lo avevamo deliberato anche l’anno scorso, poi non avendo previsto un giorno di recupero, non lo abbiamo fatto. Quest’anno abbiamo anticipato l’inizio della scuola di un giorno».
43 per cento
Fanfoni spiega che «abbiamo un 43 per cento di alunni di altra nazionalità. Contando gli italiani di seconda generazione arriviamo al 50 per cento. La maggior parte proviene da Egitto, Marocco, Pakistan». E aggiunge che «prima la maggior parte degli alunni migranti si concentrava solo in alcuni plessi. Per rendere le classi più omogenee, quattro anni fa abbiamo modificato i bacini d’utenza. Ogni anno accogliamo molti ragazzi per i ricongiungimenti famigliari e due volte a settimana viene da noi una psicologa che parla arabo».
La decisione
E spiega che la decisione di chiudere «non toglie nulla a nessun altro, non cancella l’identità culturale dello Stato in cui siamo. Nelle classi ci sono i crocifissi, nessuno chiede di pregare in classe durante il Ramadan, tutti seguono la lezione. Chiudere non è un gesto per farsi benvolere dalla comunità araba, è semplicemente il riconoscimento della specificità del nostro contesto». Infine, gli insulti: «Con dispiacere noto che gli adulti non sanno mettere in pratica ciò che insegniamo ai ragazzi, ovvero la comunicazione non ostile, l’accettazione del punto di vista altrui».
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