Giovanni Allevi, il racconto della malattia: «Sono arrivato a pesare 63 chili. La cultura mi tiene in vita»
Il pianista e compositore Giovanni Allevi ha ripreso a esibirsi dal vivo nei teatri di tutta Italia dallo scorso febbraio. Un ritorno molto atteso, dopo l’allontanamento forzato dal pianoforte a causa della malattia, durato quasi due anni con qualche recrudescenza, che recentemente l’ha portato a rinviare alcune date, come quella a Taranto dello scorso 15 marzo. Tuttavia non ha perso il sorriso e l’ottimismo che l’ha sempre caratterizzato, e che aveva fatto commuovere il pubblico nel corso dell’ultima edizione del Festival di Sanremo. Con il sorriso è tornato a parlare davanti a seimila studenti lombardi, riuniti nella giornata di martedì al Forum di Assago per lo spettacolo Happiness on Tour. Vite – Storie di felicità, promosso dalla Fondazione della Felicità. A loro ha raccontato l’esperienza iniziata dalla diagnosi del mieloma multiplo, e culminata una mattina: «Un giovane dottore entra con veemenza senza bussare, resta sulla porta, non ha la tuta, calzari e mascherina. Agita dei fogli e mi dice: “Maestro, hai tredici globuli bianchi”!. Io che ho il senso dell’umorismo gli rispondo: “Dottore, non sono un po’ pochini?”. Ma lui sorride e se ne va. Cosa stava succedendo?».
La buona notizia
«Le cellule stavano producendo nuovo midollo osseo. In realtà – racconta – i globuli bianchi erano 13 per millimetro cubo. La bilancia che pendeva verso la mia morte iniziava di nuovo a pendere verso la vita. In quel momento sono stato investito da una felicità allo stato puro. Mi è venuto addosso un camion, un grattacielo di felicità. Perché ero felice? Per risultati professionali di qualche tipo? Perché avevo venduto dei dischi? Perché erano aumentati i follower? No, perché ero semplicemente vivo». Quel giorno è stato, racconta, «immensamente felice».
Il «piccolo viaggio nell’inferno»
Ospite d’onore all’evento di Assago, Allevi ha preso la parola per ultimo, dicendosi «emozionatissimo». Prima di iniziare il suo discorso, racconta il Corriere, è stato proiettato un video che lo ritraeva all’apice del successo, che il pianista ha commentato così: «Questa era la mia vita due anni fa. Poi è arrivata una malattia terribile, che ha spazzato via tutto. Tanto che oggi mi chiedo, magari è venuta apposta?». Con queste parole ha introdotto i ragazzi a quello che ha definito il suo «piccolo viaggio nell’inferno», che però non lo ha mai spinto a mollare: «La resilienza è una parola che non mi è mai piaciuta, mi fa pensare all’accettazione passiva di una condizione negativa. Io invece ho uno spirito combattivo». Anche la malattia, ha spiegato, nasconde infatti lezioni preziose. Racconta di aver imparato «ad assumere il comando più importante, il dominio su me stesso, sulle mie paure, sulle mie ansie. Ho dovuto tenere lo sguardo dritto sui fiori mentre camminavo sull’inferno, ho dovuto regalare un sorriso alle persone che mi stavano vicino anche quando il dolore fisico era insopportabile».
«Una persona delicatissima»
«Nell’antica Roma – prosegue – le persone destinate al comando dovevano avere tre qualità: auctoritas, dignitas e gratia. Ciò che davvero mi ha sorpreso è stata la grazia. Dovevi avere grazia nel parlare, nel gesto, nel movimento, nelle intenzioni. In questi due anni di malattia ho fatto mie queste tre parole». Smorza poi con una battuta: «Non certo perché sia una persona destinata al comando, per carità. Sono una persona delicatissima, non amo dire agli altri ciò che devono fare o pensare. Infatti quando ero insegnante alla scuola media ero un disastro». Nonostante il sorriso, non risparmia i dettagli più dolorosi. Come, dopo un anno, la notizia di dover fare di nuovo dieci punture nella pancia per stimolare il midollo osseo a produrre cellule staminali: «Con il tremore alle mani è molto difficile», commenta.
Il ritorno in reparto
Allevi non glissa nemmeno sul ritorno in reparto: «Uno stanzone pieno di letti, un telo a separarli. Io non la vedo, ma vicino a me c’era una bambina, avrà avuto 7 anni e piangeva, piangeva. E i genitori e infermieri e medici cercavano di distrarla, di rasserenarla. Dio, perché permetti queste cose? Io ho dato, va bene. Ma una bambina di 7 anni? Questo è un problema grandissimo anche a livello teologico». Parole difficili da pronunciare, tra la commozione. Ma prosegue nel racconto: «Il midollo osseo malato si mangia le ossa dall’interno e non potete capire il dolore. E infatti sono imbottito di oppioidi potentissimi, cento volte più potenti dell’eroina e infatti andrò incontro alla crisi di astinenza, che è un’esperienza spaventosa».
La chemio
Non finisce qui, perché poi arriva la chemio, che l’ha portato a perdere la sua caratteristica capigliatura, folta e riccia: «Un giorno ho sentito un grande bruciore sulla testa e i capelli sono caduti tutti insieme nel giro di qualche ora, li ho tolti quasi fosse una parrucca». A questo punto, era ormai «Calvo, imbottito di psicofarmaci e di oppioidi che per mesi e mesi mi davano la sensazione di avere 39 di febbre. Debolissimo, senza appetito, dimagrito, pesavo 63 chili. Lì ho pensato che bastava che decidessi di lasciarmi andare e mi sarei spento». Ma non l’ha fatto.
La cultura
A tenerlo in vita sono state due cose: l’amore per i famigliari e la cultura. Nel periodo più buio, infatti, Allevi racconta di aver fatto scorpacciate di conferenze, di storia, filosofia, letteratura classica. «Ho scoperto che la fragilità umana non era solo un fatto mio. È una costante nella storia dell’umanità. Mi sono sentito meno solo». Quando, dopo alcune settimane, sono finalmente arrivati i «tredici globuli», il compositore racconta di aver provato «un profondo senso di gratitudine, per essere vivo, per il talento dei medici, per l’affetto degli infermieri, per il colore rosso dell’alba che è diverso dal rosso del tramonto». «Inevitabilmente – conclude -, nella natura umana, sono tornato nella normalità. E infatti i Greci, che avevano capito tutto, avevano individuato due divinità a gestire il tempo. Il dio dell’attimo, Kairòs, e poi Kronos, il dio della quotidianità. Ma dopo quel picco, è iniziata una fascia compatta di gratitudine e ancora è lì». Il suo toccante intervento termina con un augurio ai ragazzi. Quello di far tesoro di ciò che ha loro appena donato: «La mia vita, la mia sofferenza, la mia felicità».
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