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Chi è Johan Röhr, l’artista più ascoltato su Spotify che con 656 pseudonimi ha «drogato» l’algoritmo

21 Marzo 2024 - 14:37 Gabriele Fazio
Il compositore 47enne è l'ultimo esempio del fenomeno dei «Fake Artist», che - d'accordo con la piattaforma - realizzano contenuti per andare incontro al sistema su cui si basa Spotify

Il nome Johan Röhr probabilmente ai più non dirà niente, eppure è uno degli artisti più ascoltati nel mondo su Spotify, la più popolare delle piattaforme per l’ascolto di musica in streaming, tanto da poterla considerare il termometro per misurare lo stato di salute della discografia a livello globale. Per intenderci, Röhr sta più in alto in classifica di star come Michael Jackson, Metallica e Mariah Carey. In Svezia, sua patria natale, è l’artista più ascoltato di sempre, anche ben oltre gli ABBA, Avicii e i Roxette. Ma anche da quelle parti di Röhr si sa poco o nulla. Il motivo? Il 47enne ha costruito il suo successo attraverso un numero spropositato di pseudonimi. È stato il quotidiano svedese Dagens Nyheter (DN) a identificare il compositore e polistrumentista, scoprendo così che Röhr ha creato più di 2700 canzoni pubblicate sulla piattaforma sotto vari pseudonimi come Maya Åström, Minik Knudsen, Mingmei Hsueh, Csizmazia ed Etel: 656 in tutto. In questo modo, sfruttando un contesto musicale verso cui non si presta molta attenzione per quel che riguarda gli autori, è riuscito a rientrare in forma anonima in numerose playlist ufficiali della piattaforma. Parliamo di quelle playlist utilizzate più che altro come sottofondo ad altre attività. Su Spotify basta digitare «relax» e ne escono diverse ufficiali come Relaxing Massage, No stress, Relax & Unwind, Relaxing Bath, Relaxing Night Music Mix, Relax, Relax in Natura, Deep House Relax, e così via.

Chi è

Johan Röhr può essere considerato il re assoluto di queste playlist: utilizzando la moltitudine di profili è riuscito a mettere sul mercato una enorme quantità di musica rientrando in un centinaio di playlist ufficiali, quindi molto distribuite e molto ascoltate (più di 62 milioni di follower), e riuscendo a toccare la cifra record di 15 miliardi di stream. Non è noto quanto abbia fruttato l’attività di Röhr su Spotify, quello che Dagens Nyheter svela è che nel 2022, annata particolarmente fortunata, la sua società, al netto delle sue collaborazioni in tv o con pop star in qualità di compositore o direttore d’orchestra, ha incassato 32,7 milioni di corone, più o meno 3 milioni di euro. Tutto legale sotto ogni punto di vista, compresi i parametri di Spotify. Non parliamo di una di quelle storie di stream farlocchi, ma di regolari contratti chiusi con la piattaforma, tant’è che se Röhr si è rifiutato di rispondere al quotidiano svedese, l’etichetta discografica che pubblica la sua musica, la Overtone Studios, lo ha pubblicamente definito «un pioniere della musica d’atmosfera». Attraverso la voce dell’amministratore delegato Niklas Brantberg, l’etichetta ha rivendicato il suo modus operandi: «Riteniamo che gli artisti di talento dovrebbero essere in grado di pubblicare musica con diversi pseudonimi, cosa comune nel settore, abbracciando vari generi e vibrazioni, con diversi collaboratori e in diversi punti del loro viaggio musicale. Permette loro di liberare l’intera gamma del loro potenziale creativo e l’attenzione di Overtone Studios nel fornire una partnership paritaria attraverso una ripartizione delle royalty 50/50 aiuta il nostro ampio elenco di artisti a guadagnarsi da vivere nel settore».

La dittatura delle playlist

Dal canto suo, Spotify ha commentato la vicenda con il Guardian, sostenendo che «c’è un crescente interesse per la musica creata per migliorare le attività quotidiane come il relax, la concentrazione o lo studio, e queste playlist sono create per soddisfare la domanda degli ascoltatori. Con l’aumento della domanda, sempre più artisti ed etichette discografiche scelgono di produrre questo tipo di contenuti. Questa musica, come tutta l’altra musica su Spotify, è concessa in licenza dai detentori dei diritti e paghiamo le royalties in base agli accordi che abbiamo con il distributore. Ogni accordo è unico, ma non commentiamo alcun dettaglio, né vietiamo a un artista o a una band di fare musica con il proprio nome o sotto vari pseudonimi». Il tema in realtà non è nuovissimo, Röhr oggi fa notizia essendo l’uomo dei record, la punta dell’iceberg del fenomeno «Fake Artist», così chiamato dalla rivista specializzata Music Business Worldwide: artisti svedesi che, in accordo con Spotify, realizzano contenuti concepiti per andare incontro al sistema algoritmico su cui si basa il meccanismo della piattaforma. Lo stesso quotidiano Dagens Nyheter nel 2022 ha pubblicato un’inchiesta in cui rivelava che la musica presente in alcune playlist ufficiali di Spotify, firmata da 500 musicisti diversi, era in realtà stata composta da una ventina di autori, tutti legati alla casa discografica svedese Firefly Entertainment. Questa storia altro non fa che confermare i dubbi che tanti addetti ai lavori conservano nei confronti di Spotify, pagamenti a parte, ovvero la capacità della piattaforma attraverso il sistema di playlist di spingere un progetto musicale e decretarne così vita e morte.

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