Sofia Goggia dopo l’infortunio: «Ero disperata, morta dentro. Non forzerò il recupero»
Subito dopo l’infortunio, nel comunicato della Federazione sport invernali mandava un messaggio ottimista: «Saprò alzarmi anche stavolta». Ma in cuor suo non ci credeva. Troppo dolore, troppo grave l’incidente, l’amarezza di essersi fatta male durante un allenamento controllato. «Vedevo il futuro come un pannello nero, ero disperata, ero morta dentro», confessa ora Sofia Goggia al Corriere della Sera, a 45 giorni dalla caduta a Ponte di Legno, vicino a Temù, in provincia di Brescia. «Frattura articolare scomposta pluriframmentaria del pilone tibiale destro» recitava il bollettino, una sentenza per la sciatrice che era così costretta a dire addio alla possibilità di vincere in questa stagione per la quinta volta la Coppa del mondo di sci in discesa libera, che stava dominando fino a quel momento. «Mi ero già rotta delle ossa, ma non avevo mai avuto una frattura tanto complicata», aggiunge la 31enne, «mi ha consegnato a uno dei periodi più difficili della mia vita». Goggia racconta anche il delicato intervento die medici, il professor Accetti e il dottor Panzeri, che l’hanno operata: «Hanno dovuto fare un taglio più lungo per scostare tendini e nervi e piazzare una piastra a forma di “elle”. Un lavoraccio, per fortuna riuscito». Nonostante lo sconforto più nero, la sciatrice già durante le operazioni di soccorso in elicottero ha provato a farsi forza «pensando ai drammi del mondo, cercando di andare oltre la mia sofferenza». Un invito, a se stessa, a rimanere concentrata per l’obiettivo: tornare in piedi e in salute. Ma la riabilitazione non è stata – non è – semplice. «Passavo dal letto al divano, poi al poco che potevo stare in piedi. A quel punto quasi svenivo perché il sangue scendeva verso il piede e partivano dolori lancinanti. Perfino fare il caffè e portarlo al tavolo era un’impresa, se non strisci come un marine», racconta ancora. Rivelando di aver dedicato queste settimane allo studio di diverse materie, per far fruttare il tempo morto e riuscire a superare velocemente gli esami del corso di laurea in Scienze Politiche a cui è iscritta. Il suo, ripete, è stato un infortunio «difficile da accettare», perché avvenuto in allenamento e non in gara «mentre rischiavo a 140 all’ora». E ora una certezza: il ritorno sugli sci è lì davanti, ma non dietro l’angolo: «Non forzerò, ma quando tornerò il recupero sportivo sarà esponenziale», promette, «i tempi standard per il ritorno sono sei mesi. Una volta saldato l’osso e se ho un fisico idoneo per sciare posso anche andare prima, spesso sono tornata prima, accorciando i tempi, cosa che non voglio fare ora. Ma non è detto che debba aspettare i canonici sei mesi. Gli ultimi esami hanno dimostrato che si sta formando un callo osseo, tuttavia servirà pazienza per aver la sicurezza di stare bene».