Il padre del trapper Jordan Jeffrey Baby trovato morto in cella a Pavia: «Leggete i suoi ultimi versi, non può essersi suicidato»
Per Roberto Tinti, il padre del trapper Jordan Jeffrey Baby trovato morto in cella a Pavia, suo figlio «non può essersi suicidato». Lo ha confidato in un’intervista al Corriere della Sera. Gli ultimi versi di un brano rap del giovane («Sono stato padrone del mio destino in negativo, e lo sarò anche in positivo, tranquillo papà, la mia strada l’ho già scelta», ndr), per Tinti, parlano chiaro: «Le sembrano i versi di qualcuno che vuole suicidarsi? Mio figlio voleva girare finalmente pagina, ma dal 12 marzo lo piango, dopo quella telefonata arrivata dal carcere di Pavia», sottolinea al quotidiano. Il 26enne di Bernareggio, in provincia di Monza, è stato trovato impiccato il 12 marzo in una cella del carcere pavese. Sul caso è stata aperta un’inchiesta e disposta l’autopsia. Anche per il legale della famiglia ci sarebbero «fondati dubbi» che si sia trattato di un atto volontario. «C’è un’inchiesta in corso, e ho fiducia in chi sta lavorando perché venga fatta chiarezza, come chiediamo fin dall’inizio io e il mio legale», spiega Tinti.
«Ha commesso i suoi errori ma stava pagando più di quanto meritasse»
Jordan si trovava in carcere dopo che il giudice, due settimane fa circa, aveva aveva revocato la misura di affidamento terapeutico in una comunità, rimandandolo nella stessa struttura penitenziaria dove aveva denunciato di essere stato vittima di maltrattamenti. Il trapper era stato condannato con il rito abbreviato a quattro anni e quattro mesi per rapina, con l’aggravante dell’odio razziale, dal tribunale di Monza, in concorso con Gianmarco Fagà, 28enne romano, anche lui nome noto della scena trap come Traffik. «I suoi errori Jordan, li ha commessi – continua il padre del trapper – ma stava pagando più di quanto meritasse». E gli atteggiamenti da “fuorilegge” ostentati sui social erano solo un modo «per ottenere più like. Mi diceva – spiega il padre del giovane – che nel mondo della trap andava fatto». Ora a Tinti restano il dolore, la musica e i ricordi del figlio. Anche di quel 12 marzo, quando il personale del penitenziario lo avvertì del gesto estremo: «Si può solo immaginare cosa prova un padre in quel momento. Io sono rimasto sbalordito, lo avevo sentito nemmeno un mese prima ed era contento, voleva cambiare strada. Come me, sono rimasti senza parole tutti qui in paese, dove c’erano i suoi amici di sempre», conclude.
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