La vittoria di Donald Trump, sconto last minute sulla penale per frode: dovrà versare «solo» 175 milioni di dollari
Agli attacchi politici e mediatici Donald Trump ha talmente fatto il callo che anche quelli più abrasivi – l’accusa di essere a libro paga di Paesi nemici (Russia), o di preparare una dittatura degna di Adolf Hitler – gli scivolano addosso come acqua fresca. Ma c’è una cosa cui l’imprenditore trasformatosi in star televisiva e poi in leader politico proprio non tollera: l’assalto al suo patrimonio. E quella di oggi, lunedì 25 marzo, rischiava di trasformarsi davvero nella giornata del possibile inizio dello sfacelo finanziario per l’ex presidente, inseguito dalla «mannaia» di un maxi-versamento al tribunale di New York da 454 milioni di dollari: la fideiussione ordinata dalla procuratrice Letitia James a garanzia del futuro pagamento della multa cui Trump è stato condannato per frode per aver ritoccato il valore degli asset dalla sua Trump Organization. Un incubo per l’ex presidente ora ricandidato alla Casa Bianca: perché quei soldi in cassa lui non li ha, e trovare un ente terzo, come una banca o una compagnia assicurativa, disposto a prestarglieli o a garantire per lui s’era rivelata fin qui una missione impossibile. Ma proprio a poche ore dalla scadenza dell’ultima deadline – dopo la proroga di 30 giorni già concessa da James a fine febbraio – è arrivato l’atteso salvagente per il tycoon: la corte d’appello di New York ha accolto il ricorso dei suoi legali, riducendo il valore della cauzione dai 454 originari ad «appena» 175 milioni di dollari. Importo pesante, certo, ma di ben altro rilievo per Trump. Nei 10 giorni supplementari concessi l’ex presidente dovrebbe essere in grado di ottenere da un ente terzo – banca o compagnia assicurativa – la copertura finanziaria necessaria, assicurano esperti delle finanze di Trump. Una vittoria «cruciale e inaspettata» per lui, riconoscono i media Usa.
L’incubo sequestri s’allontana
Sembra di fatto essere passata, infatti, la tesi della difesa secondo cui la richiesta del maxi-bond da quasi mezzo miliardo poteva nuocere in maniera irreparabile alla solidità dell’impero finanziario di Trump, proprio nel pieno di una campagna elettorale delicatissima per le presidenziali Usa. Senza l’intervento per lui «provvidenziale» della corte d’appello, da domani, martedì 26 marzo, la procuratrice generale di New York e la sua squadra avrebbero potuto iniziare a mettere la mani sui beni di Trump, per assicurarsi la garanzia «in natura» che il titolare non sia riuscito a versare sotto forma monetaria. Auto, elicotteri, case, palazzi e hotel, sino al suo aereo privato – a quel punto ogni bene posseduto sarebbe potuto entrare nel mirino dell’azione in tutela del tribunale. Anche se ad essere posti per primi sotto sequestro sarebbero stati con ogni probabilità i conti correnti dell’ex presidente, mossa più facile da compiere, come spiegato da diversi esperti alla Cnn.
La cassaforte di Trump
Ma quanto soldi ha davvero «in pancia» Trump, e fino a quale ammontare potrebbe arrivare di suo, senza coinvolgere enti terzi come banche o compagnie assicurative? La risposta certa, in mancanza di documentazione pubblica completa, non è nota. Venerdì però è stato lui stesso, in un post sul suo social Truth, a dire di avere al momento 500 milioni di dollari sonanti in cassa: «una parte sostanziale dei quali – ha però subito precisato – intendevo usare per la mia campagna per la presidenza». E giù di insulti alla giudice di New York e al caso «manipolato e corrotto» contro di lui per danneggiarlo politicamente. Secondo un’analisi del New York Times pubblicata a inizio marzo, il vero patrimonio di Trump sarebbe inferiore, anche se non di molto: 350 milioni di dollari in contanti, cui devono aggiungersi bond e azioni. Non abbastanza con ogni probabilità per coprire il valore della fideiussione inizialmente richiesta, considerato oltretutto che qualsiasi banca o assicurazione chiederebbe comunque altre decine di milioni di «bonus» collaterale per coprire l’impegno. Abbastanza invece forse per coprire l’esborso ora richiesto dopo lo «sconto» della corte d’appello. Anche se è probabile che Trump non vorrà ricorrere ai suoi denari – in una fase in cui ne ha appunto gran bisogno per la campagna elettorale – ma preferirà far affidamento su una fideiussione bancaria. Che sia un viatico per una relazione più «sana» con i giudici newyorchesi? La sua apparizione oggi al tribunale di Manhattan per la prima udienza di un altro processo che lo vede implicato, quella per l’accusa di pagamenti in nero alla pornostar Stormy Daniels, sembra indicare tutt’altro: quella dei giudici ai suoi danni «è una caccia alle streghe», ha ringhiato ancora una volta il tycoon.
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