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Delitto Mollicone, parla la testimone chiave: «Il giorno della scomparsa non vidi Serena in caserma»

Un anno dopo l'assoluzione dei cinque imputati, si è riaperto il processo per la morte della 18enne di Arce. Molto attesa la testimonianza di Annarita Torriero alla Corte d'Assise d'Appello di Roma

La storia di Serena Mollicone, la 18enne di Arce, in provincia di Frosinone, trovata morta nel giugno del 2001, torna in aula. Dopo l’assoluzione dei cinque imputati – tra cui l’ex maresciallo dei carabinieri ed ex comandante della stazione di Arce Franco Mottola e suo figlio Marco, rinviati a giudizio per concorso in omicidio – oggi, 26 marzo, nella Corte d’Assise d’Appello di Roma è stata ascoltata la testimonianza di Annarita Torriero. Che ha avuto una storia con il brigadiere Santino Tuzi, morto suicida nel Sorano dopo aver rivelato dettagli importanti ai fini dell’indagine. Quella di Torriero era una testimonianza molto attesa dopo che Sonia Da Fonseca, la sua vicina di casa, aveva parlato di alcune presunte confidenze fattele dalla donna. Stando alle sue parole, Torriero le avrebbe raccontato di aver visto Serena in caserma quell’1 giugno del 2001: il giorno in cui la diciottenne di Arce scomparve. Circostanza oggi smentita categoricamente dalla diretta interessata.

La testimonianza

Torriero ha definito Da Fonseca, senza giri di parole, «una falsa». «Non ho assolutamente detto di aver visto Serena – ha dichiarato -, e chi lo afferma sarà querelato per calunnia». Lei, ha proseguito, andava spesso in caserma per portare panini o bottigliette d’acqua a Tuzi, dal momento che abitava lì vicino. Ma non era sul posto la mattina di quell’1 giugno di 23 anni fa. Prima della scomparsa di Serena, tuttavia, ha dichiarato di aver visto la diciottenne in quei paraggi. In alcuni casi, l’aveva addirittura scorta «entrare e uscire dal cancello grande sotto della caserma nuova insieme ad altri amici».

«Una brava ragazza in quella compagnia»

«Ma – ha specificato – non so dire se entrava dentro o meno nella struttura. La vedevo al di fuori del palazzo, nella salita che precedeva il cancello. Dentro l’edificio, però, non l’ho mai vista». Torriero in aula è apparsa molto provata, ha sostenuto di non ricordare molti dei dettagli chiesti dal pm, ad altre domande ha risposto in modo vago. Ha tuttavia raccontato che conosceva Mollicone perché il padre era il maestro di sua figlia. «La conoscevo, la vedevo sul corso di Arce con altri ragazzi, e pensavo: ‘come fa una brava ragazza come quella a stare in quella compagnia, con il figlio del maresciallo Mottola’».

I fatti

Il corpo di Serena venne ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa in un bosco vicino Arce. Era dietro un bidone abbandonato, seminascosto dalle foglie. Il suo viso era avvolto in un sacchetto di plastica. Questo perché, secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe stata ferita gravemente alla testa. Priva di sensi, ma creduta morta, sarebbe stata portata nel boschetto ad Anitrella, nel vicino Comune di San Giovanni Campano, e finita tramite soffocamento. La sua presenza o meno nella caserma dei carabinieri è un dettaglio fondamentale per confermare o smentire la tesi secondo cui, nella sua ultima mattina di vita, Serena si sarebbe recata presso la locale caserma dell’Arma, per affrontare Marco Mottola, figlio dell’allora comandante Franco.

Le indagini

Ci sarebbe infatti stata, secondo l’ipotesi del pubblico ministero, una discussione violenta tra i due, in seguito alla quale il figlio del maresciallo le avrebbe fatto battere con violenza la testa contro la porta di un alloggio in disuso interno alla stazione. Dietro il litigio, secondo quanto sempre sostenuto da Guglielmo Mollicone, padre di Serena morto per infarto nel 2020, ci sarebbe stata la volontà della ragazza di denunciare Marco per la sua attività di spaccio. Un quadro disconosciuto dalla corte d’Assise di Cassino, che nel luglio 2022 ha deciso di assolvere tutti e cinque gli imputati: Marco e Franco Mottola, la moglie Annamaria, e altri due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, coinvolti rispettivamente con le accuse di concorso esterno in omicidio e favoreggiamento. Lo scorso 26 ottobre, a Roma è iniziato il processo di secondo grado.

Il suicidio di Santino Tuzi

Santino Tuzi si tolse la vita con un colpo di pistola l’11 aprile del 2008, aprendo un mistero nel mistero. Pochi giorni prima del tragico gesto, infatti, aveva raccontato agli inquirenti che, il giorno della scomparsa di Serena, una ragazza molto simile a lei sarebbe entrata in caserma intorno alle 11 per non uscirne più. In quei giorni, ha raccontato oggi Torriero in aula, il brigadiere appariva quasi impazzito: «Era diverso, sembrava fuori di sé. Sosteneva che io stessa non ero mai andata da lui in caserma. Era quasi come se non mi riconoscesse». Deflagrazione finale di una tensione di cui ci sarebbero state in precedenza diverse avvisaglie. L’uomo, a detta di Torriero, sarebbe apparso «preoccupato» per il processo legato a Serena Mollicone. Avrebbe inoltre iniziato ad avere bruschi sbalzi d’umore ogni volta che passavano davanti al luogo dov’è stato trovato il corpo della ragazza. «Non era più lo stesso – ha ricordato Torriero -. Ma non gli ho mai fatto domande a riguardo».

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