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L’orgoglio della cittadinanza e lo spettro dell’odio (che ritorna): il ‘900 degli ebrei italiani in mostra

29 Marzo 2024 - 17:33 Diego Messini
Una tavola imbandita di foto, oggetti e documenti al Meis di Ferrara per rileggere il passato e capire il presente

Sicuri che il Novecento sia stato davvero un “secolo breve“? Forse non per tutti. Per gli ebrei, italiani ed europei, è stato forse il secolo più lungo, se per lungo s’intende quello più contorto e contraddittorio, ricco di gioie e di drammi, di vita e di morte, di speranze e preoccupazioni. Possibile raccontarlo tutto d’un fiato a un’Italia – vecchia e giovane – che mai come oggi sembra aver dimenticato la Storia? È la sfida che prova a raccogliere da oggi il Museo dell’ebraismo e della Shoah di Ferrara con la mostra “Ebrei nel Novecento italiano” (fino al 6 ottobre 2024). Come? Attraverso una lunga, lunghissima tavola imbandita. Di foto, oggetti, documenti, volti e testimonianze. Un invito ad accomodarsi al tavolo della storia di ieri per trarne nuove lezioni per un presente mai così complesso.

Angelo Sacerdoti in divisa da rabbino militare (1915-18)

Entrando nelle sale del Meis si ripercorre così la vita delle famiglie ebraiche italiane d’inizio ‘900, galvanizzate dal pieno reinserimento nella società dell’Italia unita dopo la fine dell’era dei ghetti. Studi universitari, professioni, vita politica: un’esplosione di tutto quel che era stato impossibile per secoli. Afflato patriottico e d’integrazione testimoniato anche dall’arruolamento entusiasta di centinaia di giovani ebrei per la Grande guerra. E poi ancora, decenni dopo, quella stessa voglia intensa di partecipare alla vita del Paese – nelle istituzioni, nella società, nei commerci, nel arti e nella scienza, tracce tutte visibili in decine di creazioni visibili in mostra. Voglia di vedersi riconosciuti pieni diritti, in sintesi, culminata nella storica firma dell’Intesa con lo Stato del 1987. Nel mezzo, ovviamente, la grande illusione del fascismo, la ferita dell’emarginazione con le leggi del 1938, poi la persecuzione aperta, le delazioni, i rastrellamenti, la deportazione. «Non una parentesi, ma parte integrante della storia d’Italia del ‘900», come rimarcato dai curatori Mario Toscano e Vittorio Bo.

Bettino Craxi (con Oscar Luigi Scalfaro e Giuliano Amato) firma l’Intesa tra Stato e Ucei rappresentata da Tullia Zevi – Roma, 27 febbraio 1987

Anche per questa catena di odio, discriminazione e violenza ripetutasi troppe volte nella storia d’Europa fiorisce lungo tutto il secolo, parallela all’impulso patriottico, un’altra aspirazione divergente: quella sionista. Come mostrano le decine di pubblicazioni della vivacissima stampa ebraica lungo tutto il ‘900 – di destra e sinistra, laiche e religiose. Progetto politico-culturale di ritorno alla Terra Promessa, quello immaginato da Theodor Hertzl, che si nutre via via di linfa socialista, oltre che religiosa: destinato a diventare una necessità di sopravvivenza, dopo la Shoah, e il sogno/credo pressoché univoco degli ebrei d’Italia, pur fedeli al Paese in cui hanno vissuto per secoli. «Fuori i sionisti dalle università», si legge ora in decine di striscioni appesi negli atenei o mostrati in strada, mentre s’impedisce di prender parola a giornalisti e intellettuali «diversi». Chissà se sanno, i loro firmatari, quanto breve sia la distanza da percorrere per tramutare quel «sionisti» in «ebrei» e completare la circumnavigazione: appena un piccolo sdoganamento contro il «politically correct» in più, ed è subito, ancora, Novecento.

La prima pagina del Corriere della Sera di domenica 10 ottobre 1982

Non c’è bisogno di tirare a indovinare, basta rileggere ancora una volta la storia, che è poi cronaca dell’altro ieri. «Bombe e mitra contro gli ebrei di Roma», titola la drammatica prima pagina del Corriere della Sera del 10 ottobre 1982 visibile al Meis. Il giorno prima un commando di terroristi palestinesi aveva aperto il fuoco sulle famiglie ebraiche all’uscita del Tempio della capitale. Rimarrà ucciso Stefano Gaj Taché, due anni. Decine i feriti, alcuni dei quali portano in corpo le schegge ancora oggi. Erano mesi di ribollimento politico in Italia contro Israele per la guerra in Libano: pochi mesi prima, durante una manifestazione oceanica promossa dalla Cgil qualcuno aveva depositato una bara davanti alla sinagoga. L’allora segretario generale Luciano Lama spese parole di condanna tiepidissima, rimarcando piuttosto l’ombra di «un vero e proprio genocidio» in corso di attuazione da parte di Israele. Lungo, lunghissimo il Novecento.

Macchina da scrivere Remington con caratteri ebraici

(in copertina Riviste ebraiche italiane di diversi orientamenti. Foto Messini)

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