Ilaria Salis e l’ipotesi di una candidatura alle Europee. Il costituzionalista Clementi: «È possibile, ma sarebbe un boomerang politico» – L’intervista
Non occorre andare troppo indietro negli archivi. Era il 2017 e nella vicina Barcellona si celebrò un referendum per l’indipendenza della Generalitat de Catalunya. Le foto della folla oceanica sulla Rambla, colorata di bandiere a strisce gialle e rosse con triangolo blu, poi la dura repressione della polizia, gli arresti dei politici più rappresentativi di quella stagione. Tra loro, Oriol Junqueras i Vies, che nel 2019 sarà eletto al Parlamento europeo ma non prenderà mai possesso del suo seggio, in quanto detenuto nelle carceri spagnole. È il caso più recente di una persona privata della libertà e candidata all’Europarlamento. In Italia, ma si trattava di un’altra epoca, Enzo Tortora fu inserito nelle file dei Radicali mentre si trovava ai domiciliari: nel 1984, eletto alle europee con oltre mezzo milione di voti, il giornalista era già il simbolo di uno dei più gravi errori giudiziari del Paese. Rinunciò all’immunità che gli spettava, convinto che avrebbe avuto giustizia. A distanza di 40 anni, nel centrosinistra italiano si sta valutando la candidatura di Ilaria Salis, alle europee del prossimo giugno, per sottrarla alla condizioni detentive ungheresi e fare luce sullo Stato di diritto del Paese di Viktor Orbán. Open ha sondato l’ipotesi con Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico italiano e comparato all’Università La Sapienza di Roma e direttore del master in Scienze elettorali e del governo nel medesimo ateneo.
La candidatura di Ilaria Salis, dal punto di vista normativo, è possibile poiché si trova in regime di detenzione cautelare e senza alcuna condanna. Il giorno dopo un’eventuale elezione, cosa potrebbe succedere?
«Andiamo con ordine, anche per fare capire bene il quadro. Il primo punto dal quale partire è che non vi è ancora – proprio per la storica resistenza di molti Paesi membri, Italia compresa – un’unica normativa elettorale uniforme per le elezioni europee in tutti i Paesi dell’Unione. Vi sono naturalmente dei principi generali comuni, ma l’intera disciplina per eleggere i deputati al Parlamento europeo è ancora nella pressoché totale discrezionalità di ciascun Paese membro. Conseguentemente, ed è il secondo punto, ai sensi della legislazione italiana, Ilaria Salis è candidabile. Per cui, laddove eletta, ai sensi dell’articolo 7 del Protocollo 7 “Sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea”, in quanto parlamentare europea, nell’esercizio delle sue funzioni godrebbe di piena libertà di movimento nonché evidentemente, ai sensi dell’art. 8 dello stesso Protocollo, di una totale libertà di esprimere opinioni e di votare nel Parlamento europeo».
Questo varrebbe anche se, al momento dell’elezione, si trovasse in un territorio diverso dall’Italia?
«Se divenisse parlamentare europea, questo non soltanto le consentirebbe di godere delle immunità che l’ordinamento italiano riconosce ai parlamentari italiani, ma anche evidentemente di essere esente, ai sensi dell’art. 9 del medesimo Protocollo che le ho citato, da ogni provvedimento di detenzione o sottoposizione a procedimento giudiziario in un altro Stato membro differente dall’Italia. Tuttavia questa immunità, va ricordato, non è assoluta, senza limiti».
Quali limiti?
«Essa non può essere invocata di fronte a un caso di flagranza di delitto, oltre che, naturalmente, di fronte ad una revoca formale che può essere esercitata dallo stesso Parlamento europeo nei confronti di un parlamentare».
Guardando ai precedenti, il caso più noto in Italia relativo a un candidato in stato di detenzione è quello del giornalista Enzo Tortora. Nelle ultime Europee, invece, ha fatto giurisprudenza l’elezione dell’indipendentista catalano Oriol Junqueras i Vies, al quale però non è stato consentito di raggiungere il Parlamento europeo. Vede delle analogie tra queste due vicende e un eventuale elezione di Salis?
«Mi sembrano situazioni ben diverse, a partire da quella di Tortora che è un’altra cosa. Infatti Tortora, pur non avendo fatto alcun atto che potesse consentire di immaginare una violazione dell’ordinamento, non solo è stato arrestato ma poi, pur eletto al Parlamento europeo dal Partito radicale, ebbe addirittura il coraggio di rinunciare all’immunità da parlamentare, restando agli arresti domiciliari, per dimostrare la sua completa fiducia nella giustizia, finendo per essere, tre anni dopo il suo arresto, poi assolto con formula piena. Un errore della giustizia pesante come un macigno, gestito però dall’imputato Tortora – me lo faccia dire – come un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Insomma, un vero esempio di virtù civica nella malagiustizia che ha subito».
«Nel caso invece dell’indipendentista catalano Oriol Junqueras i Vies o di Ilaria Salis ci troviamo in una situazione completamente diversa. Si tratta di due figure che, sia pur in una dimensione politica di scala molto diversa e con forti differenze di modi e forme di comportamento, hanno comunque dato vita ad attività che hanno segnato i loro comportamenti rispetto a due distinti ordinamenti europei».
Supponendo che Salis venga candidata e poi eletta, ci troveremmo in uno stallo giuridico tripolare: regime giudiziario ungherese, sistema elettorale italiano e normativa europea. A quale organo spetterebbe sciogliere le controversie? E ancora, se la magistratura ungherese condannasse in maniera definitiva Salis – sempre ragionando nel campo ipotetico di una sua candidatura ed elezione -, a quel punto cesserebbe la sua immunità e decadrebbe dal ruolo di eurodeputata?
«In realtà non ci troveremmo di fronte a uno stallo: se eletta varrebbe il regime europeo, rispetto al quale immagino – a maggior ragione se di fronte d una condanna da parte ungherese – le medesime autorità ungheresi potrebbero presentare un ricorso. Ma spetterebbe sempre al Parlamento europeo accettare o respingere la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’eventuale eurodeputata Salis. In caso di condanna definitiva l’immunità comunque non decadrebbe automaticamente: serve sempre una pronuncia del Parlamento europeo. Ribadisco, la gestione dell’immunità di un parlamentare dipende soltanto dall’Europarlamento, che è l’unico organo competente. Togliere l’immunità a uno dei suoi membri e un potere proprio ed esclusivo del Parlamento europeo».
Se l’Ungheria decidesse di non liberarla anche dopo un’eventuale elezione, cosa accadrebbe?
«Non è possibile. Non ci sono alternative. Se eletta al Parlamento europeo, la normativa impone all’Ungheria il rispetto dello Stato di diritto europeo e, dunque, la sua liberazione in quanto europarlamentare».
Qual è il principio fondativo dell’istituto dell’immunità parlamentare? Avrebbe attinenza con la situazione di Salis?
«L’immunità parlamentare è una garanzia di libertà riconosciuta, nell’esercizio delle loro funzioni, ai parlamentari sia italiani che europei, con l’obiettivo di proteggere le Assemblee rappresentative, i Parlamenti insomma, e le loro funzioni. Sono quindi delle garanzie, sostanziali e procedurali che, tutelando giuridicamente l’eletto, tutelano anzitutto la democrazia rappresentativa.
In questo senso, se posso, non mi sembra la situazione adatta al caso di Salis: non soltanto perché sarebbe un mero escamotage che non le renderebbe giustizia in sé ma anche perché a me pare del tutto sbagliato candidare figure politiche, sia pure con una logica tutta simbolica, le quali comunque ictu oculi sono estranee alle scelte e alla linea politica del partito che li candida. I simboli, quando li si candidano, debbono corrispondere a delle chiare linee politiche, cioè gli elettori di quei partiti ci si debbono identificare. Se ciò non corrisponde con l’esattezza di queste cose, da un lato si rischia di strumentalizzare quel profilo in una determinata situazione come se fosse una figurina invece che come una figura meritevole di rispetto, dall’altro vi è il rischio che ciò comporti un boomerang politico del tutto non preventivato per il partito che fa questa operazione. Insomma, sull’uso simbolico delle candidature, io sono da sempre molto cauto: meglio avere parlamentari coerenti ed esperti più che il catalogo di storie, che rischiano di non combaciare con il profilo politico che gli elettori di quel partito che li ha candidati richiedono».
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