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«Vi spiego perché Nanni Moretti piace ai Millennials. E “Il sol dell’avvenire” non sarà il suo ultimo film»

fabio benincasa nanni moretti nanni settanta libro
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Fabio Benincasa, docente universitario, ha scritto “Nanni Settanta”, guida ragionata al morettismo. A Open racconta perché il regista di “Caro Diario” è necessario per fare cose e vedere gente anche nel 2024. E non raccoglie provocazioni: non è vero che Moretti ormai ha detto tutto quello che aveva da dire. Anzi, il meglio deve ancora arrivare

«No, “Il Sol dell’avvenire” non sarà il suo ultimo film. Nanni Moretti ha tanto altro da dire». Fabio Benincasa insegna estetica dei nuovi media presso Naba, Nuova Accademia di Belle Arti. L’8 aprile esce per Bordeaux Edizioni il suo libro “Nanni Settanta”, che celebra gli anni di Moretti e ne racconta, con prefazione di Alberto Abruzzese (e aneddoti inediti), l’importanza della sua opera nella società contemporanea. A Open spiega che il regista romano è importante per la sua generazione ma anche per i Millennials. Che magari non hanno mai visto un suo film dall’inizio alla fine, ma lo conoscono attraverso i meme sui social. Proprio quel tipo di cose, come Netflix, che lui odia.

Morettiano

Secondo Benincasa Moretti è diventato uno schermo sul quale l’opinione pubblica proietta pregi e difetti della nostra società. «È stato sempre una presenza politica: giovane, proveniente dall’attivismo di sinistra, contestatore nei confronti dell’establishment della commedia all’italiana. Il suo “Te lo meriti Alberto Sordi” aveva provocato già una spaccatura. E nel dialogo con Monicelli nella trasmissione di Arbasino diceva di non sentirsi parte di quel mondo, spaccando il mondo culturale in due parti». I girotondi poi provocano un’ulteriore divisione «e qui nascono gli antimorettiani anche tra chi non si era mai interessato al suo cinema. Il suo cinema diventa roba da “radical chic” romani e di sinistra, così come era successo per i suoi primi film, del resto».

(“Sogni d’oro”, 1981 – Da: Nanni Moretti out of context su X)

Moretti è fatto apposta per dividere, dice Benincasa. Perché si forma in una stagione nella quale i personaggi spaccavano l’opinione pubblica. E qui nasce la categoria degli antimorettiani: «C’è Monicelli, c’è Dino Risi che lo considerava un arrogante. D’altro canto loro volevano cooptarlo, lui non voleva starci. Lo scontro era inevitabile».

I girotondi

I girotondi però sono stati una stagione brevissima. Sono cominciati con l’intervento a Piazza Navona («Con questi dirigenti non vinceremo mai») e sono culminati con la manifestazione davanti alla Cassazione del 2002. Un fuoco di paglia? Benincasa dice che Moretti non si è mai candidato alle elezioni e la critica di un artista «ci sta pure. Eppure testimoniava un’insofferenza nei confronti della classe politica di sinistra che oggi è diventata un leit motiv». Un’altra categoria analitica del libro di Benincasa è il morettismo, definito come un atteggiamento morale un po’ snob che accomuna il regista e il suo pubblico di riferimento. «Secondo me è uno straw man argument che viene prodotto per mettere alla gogna i morettiani. D’altro canto in Italia ormai periodicamente gli uni accusano gli altri di essere radical chic, a meno di non essere di ultradestra o di scrivere sul Foglio o La Verità. Oppure sono il generale Vannacci. Ma questo non lo scrivere sennò mi querelano».

Divisivo

Moretti comincia ad essere divisivo da subito, spiega Benincasa. «Ha troppo successo da giovane e questo in Italia non si perdona a nessuno. Poi i suoi atteggiamenti teatrali e movimentisti erano anche provocatori (siamo negli anni di Carmelo Bene e Andrea Pazienza) e per questo finivano nell’agenda dei media. Poi ha sempre trovato il modo di essere divisivo anche dopo, senza farsi imbalsamare come un Venerato Maestro. Il fatto che abbiano scritto “Viva Stalin” sotto il Sacher dopo l’uscita dell’ultimo film mi è sembrato particolarmente geniale».

Ne “Il Sol dell’avvenire” Moretti poi torna ad essere un critico della società contemporanea. E si sceglie un bersaglio grosso: Netflix. «La critica principale è che la società di streaming impone una struttura di tipo omologante al cinema. Netflix ormai ha lo stesso ruolo delle major negli anni Trenta o Quaranta. Un regista come lui lo rifiuta proprio come discorso». Eppure Martin Scorsese l’ha fatto un film con Netflix: «Ma l’ha fatto uscire anche in sala. E quando la gente protestava per le quattro ore di durata, rispondeva che c’è chi fa il binge watching su Netflix di sei puntate di una serie: “Davvero non volete vedere un film fatto da me?”».

I social media e Pasolini

Secondo Benincasa però Nanni Moretti un account su Netflix ce l’ha. Facebook e Twitter invece no «perché per me non vuole perdere tempo con questa roba. E poi Moretti è un regista-autore, l’attenzione la vuole catturare lui, non tollera che ci sia qualcun altro che gliela rubi». L’account su Instagram a suo nome invece «esiste, ma non so se ci sia dietro lui o qualcun altro. Gli spezzoni dell’ultimo film erano molto divertenti, ma credo che dietro ci sia un social media manager ma non lui in persona». Nel libro si fa spesso un paragone con Pasolini, che però «è il modello delle generazioni degli Anni Cinquanta e Sessanta, che continua a manifestarsi anche adesso. In “Caro Diario” Moretti visita il luogo dell’omicidio di Pasolini con “Koln Concert” di Keith Jarreth in sottofondo. Di certo fino a “Il Caimano” da lui ci si aspettavano prese di posizioni chiare sulla sinistra e sul berlusconismo. Poi è diventato più elusivo. Ma i suoi film sono sempre rimasti politici».

(“Il Sol dell’avvenire”, 2023 – Da: Nanni Moretti out of context su X)

Il sol dell’avvenire

“Il sol dell’avvenire” sarà l’ultimo film di Nanni Moretti? Viene da pensarlo a vedere quella carrellata finale che sembra quasi preludere a un “That’s all folks”. Ma Benincasa dice di convintamente di no: «In primo luogo perché i film-testamento dei registi raramente sono gli ultimi. Pensa ad Ingmar Bergman e “Il posto delle fragole”, per esempio. Così come “8 e 1/2” per Fellini. Registi e scrittori fanno opere-testamento quando si sentono di farla, non quando stanno per morire o per smettere di lavorare. Più che altro il film dimostra che non è vero che Moretti fa sempre lo stesso film. È capace di sorprenderci sempre, da Berlusconi al Papa. Dopo “Tre piani” tutto lo davano per finito, e tira fuori un campione d’incassi. Non sarà il suo ultimo film. Quale sarà? Lo sa solo lui».

Giovane promessa, solito stronzo, venerato maestro

E veniamo all’aforisma di Alberto Arbasino sull’intellettuale italiano che attraversa tre fasi: giovane promessa, solito stronzo, venerato maestro. Viene da chiedersi di chi sia oggi Moretti il venerato maestro: «Sicuramente della sua generazione. Ma anche della mia: lo abbiamo conosciuto guardando i suoi film in tv e quando era “uno splendido quarantenne”. Io quando ho visto “Caro Diario” ho deciso di andare a vivere alla Garbatella. Poi c’è chi lo ha conosciuto nel periodo dei girotondi. Ma c’è da dire anche che vista la smaterializzazione dei supporti, oggi anche chi vede le gag su Youtube o condivide i meme che girano su Internet è un allievo di Nanni Moretti. Ci sono ragazzi di vent’anni che dicono “Le parole sono importanti” oppure “Faccio cose, vedo gente”. Sono la Generazione Z, ma conoscono un regista di 70 anni. Magari non hanno visto il film, ma ormai Moretti è vox populi».

Millennials e Generazione Z

Ripetono frasi morettiane senza sapere che vengono da un film. «Due cose testimoniano l’influenza culturale sulla società contemporanea: diventare un aggettivo e trasformarsi in una voce senza corpo che magari finisce sulle magliette. Moretti è diventato entrambe le cose. Come Ennio Flaiano: molti non hanno mai letto un suo libro ma conoscono frasi come “Gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore”». Un altro tema di “Nanni Settanta” è la Roma di Moretti. È la sua città d’ispirazione ma in modo diverso rispetto a Fellini: niente Fontana di Trevi ma uno sguardo tangente su quartieri meno conosciuti come Monteverde o che diventato proverbiali come Spinaceto con annessa sceneggiatura sulla fuga dal quartiere.

(“Bianca”, 1984 – Da: Nanni Moretti out of context su X)

È lo sguardo «di qualcuno che a Roma ci è nato, non ci è arrivato come Fellini. Tutti noi che siamo arrivati da fuori abbiamo avuto un impatto forte con la magnificenza del Centro e la Grande Bellezza: anche Sorrentino ha uno sguardo felliniano. Moretti invece ci nasce e ci vive come una città qualsiasi. In “Caro Diario” va anche a Casal Palocco, spesso si vedono Prati e Monteverde. È una Roma molto Roma, con le sue pasticcerie, le sue edicole, i parchi, le mura. È una visione centrifuga e tangente».

Moretti ha stancato?

Infine, Benincasa non pensa che dopo “Il sol dell’avvenire” Moretti non abbia più molto da dire. «Prima di tutto io sono un superfan e non mi stancherò mai di lui. E poi gli incassi dicono che il pubblico non si è stancato di lui, anzi».

(“Caro Diario”, 1993 – Da Nanni Moretti out of context su X)

«C’è anche da dire che non ha fatto neanche tantissimi film, appena 14 senza contare corti e documentari. Considerato che ha cominciato a 24 anni e oggi ne ha 70, è ancora all’inizio della sua carriera. E ci darà tante soddisfazioni. O almeno, da fan, lo spero tanto».

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