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Operatori uccisi a Gaza, la lettera dello chef fondatore Jose Andrès: «Israele è migliore di così»

Il famoso chef attacca il governo di Netanyahu in una commovente lettera al quotidiano "Yediot Aharanot": «Nelle peggiori condizioni, dopo il peggior attacco terroristico della sua storia, è tempo che il meglio di Israele si manifesti»

«Nel profondo del loro cuore gli israeliani sanno che il cibo non è un’arma di guerra. Israele è migliore del modo in cui conduce l’offensiva» su Gaza. «È migliore di uno Stato che blocca cibo e medicine, che uccide gli operatori umanitari». Le parole del fondatore dell’organizzazione «World Central Kitchen», lo chef ispano-americano Jose Andrès, fanno rumore. Zomi Frankcom, Damian Sobol, Jacob Flickinger, Saifeddin Issam Ayad Abutaha, John Chapman, James Kirby, James Henderson, i 7 operatori tragicamente uccisi da un drone israeliano, hanno «sacrificato le loro vite per un’attività umana fondamentale: condividere il cibo con gli altri», si legge nella lettera di Andrès, indirizzata al quotidiano israeliano Yediot Aharanot. La loro missione si basava su una semplice, ma vitale, condizione: «Il cibo è un diritto umano universale».

I sette – due palestinesi con doppia cittadinanza (Stati Uniti e Canada), tre britannici, un polacco e un’australiana – erano a bordo di tre veicoli quando all’alba del 1° aprile un drone israeliano ha sparato per tre volte contro il convoglio umanitario. Avevano insegne riconoscibili sul veicolo, concordato in anticipo il percorso con l’Israel defence forces, ottenuto il via libera. Tutto inutile. I missili li hanno centrati, uccidendoli. Il primo ministro Netanyahu ha detto: «Questo accade in tempo di guerra». Ma gli attacchi aerei «sul nostro convoglio non sono stati solo uno sfortunato errore. Si è trattato di un attacco diretto contro veicoli chiaramente segnalati i cui movimenti erano conosciuti dall’Idf», scrive Andrès. Il governo israeliano «deve aprire vie terrestri per portare gli aiuti umanitari alla popolazione. È necessario smettere di uccidere civili e operatori umanitari. È necessario iniziare oggi il lungo viaggio verso la pace. È arrivato il tempo – continua il fondatore della Ong – che il meglio di Israele si manifesti. Non è possibile salvare gli ostaggi bombardando ogni edificio di Gaza. Non è possibile vincere questa guerra affamando un’intera popolazione». E non è un segno di debolezza condividere il cibo con gli estranei. Anzi, sottolinea Andrès, «è un segno di forza». E Israele «deve ricordare, in quest’ora buia, cos’è veramente la forza».

I tre missili che hanno ucciso gli operatori

L’esercito israeliano, che ha bollato il tutto come «un tragico incidente», «un «grave errore» e annunciato indagini approfondite, ha fornito la sua versione dei fatti ad Hareetz. A centrare le tre auto – secondo la ricostruzione di parte – sono stati tre razzi sparati in rapida successione da un drone Hermes 450 nella presunzione che del gruppo dei 7 operatori facessero parte uno o più terroristi armati. L’attacco è avvenuto subito dopo che i tre veicoli avevano lasciato il deposito a Deir al Balah, in una zona centrale della Striscia, dove la squadra aveva scaricato più di 100 tonnellate di aiuti alimentari. E mentre il convoglio stava percorrendo il percorso approvato, «è scattato il raid con l’ordine della sala operativa di colpire», riferisce il giornale. Prima è stata colpita un’auto e i passeggeri al suo interno hanno tentato di salire sulla seconda. Centrato anche il secondo veicolo, e segnalata l’aggressione alle truppe d’Israele, la terza macchina del convoglio si è avvicinata e i passeggeri hanno cominciato a trasferirvi i sopravvissuti al secondo attacco. Ma un terzo missile ha colpito anche loro. L’uccisione dei 7 operatori umanitari, «7 belle anime uccise dall’Idf», ricorda il Ceo di WCK, Erin Gore, ha avuto reazioni immediate: la Gran Bretagna ha convocato l’ambasciatore israeliano a Londra per fare luce sulla vicenda. Antony Blinken, segretario di Stato Usa, ha chiesto «un’indagine rapida e imparziale». A chiedere risposte sono anche Commissione e Parlamento dell’Unione Europea. «Troppe vite innocenti sono state perse a Gaza. Ci aspettiamo risposte per garantire che questo non accada mai più», è il messaggio di Roberta Metsola.

L’effetto domino

La sospensione delle attività umanitarie sulla Striscia sembra ora inevitabile. A Gaza, stando ai dati di Cnn, sono stati uccisi più di 190 operatori umanitari dall’inizio dell’offensiva di Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Un numero mai registrato prima d’ora in un anno: nel 2018 in Siria sono stati uccisi 56 volontari, nel 2013 in Afghanistan 48. La World Center Kitchen ha annunciato «lo stop immediato». L’obiettivo è mettere in sicurezza tutti gli altri operatori che lavorano nell’enclave palestinese o che si stanno avvicinando a Gaza. Compresa la nave Open Arms, che il 30 marzo scorso è salpata dal porto cipriota per la seconda spedizione di aiuti umanitari in collaborazione con Wck. La Ong di Oscar Camps, stando ai siti di tracciamento (non c’è una conferma ufficiale), dovrebbe raggiungere il porto di Larnaca (Cipro) in serata. Per le prossime ore era prevista una nuova consegna: oltre 300 tonnellate di cibo, più un carico di datteri per interrompere il Ramadan. Eppure, dopo l’uccisione dei 7 operatori umanitari i piani sembrano essere cambiati. Mancano condizioni adeguate e, soprattutto, sicure per avvicinarsi a Gaza City. In queste ore anche l’American Near East Refugee Aid (Anera), Ong con sede negli Stati Uniti, ha deciso sospendere le sue operazioni dopo l’attacco dell’esercito israeliano. Lo scrive la Bbc, sottolineando come Anera svolge un ruolo chiave nel fornire cibo ai palestinesi e ha lavorato a stretto contatto con Wck negli ultimi mesi. «Insieme, Anera e Wck forniscono circa 2 milioni di pasti a settimana a Gaza», ha sottolineato all’emittente inglese Sean Carroll, Ceo di Anera.

Nella Striscia la situazione umanitaria è catastrofica. Lo dicono, da tempo, le organizzazioni umanitarie. Lo  ribadiscono i governi di tutto il mondo. I bombardamenti israeliani hanno causato oltre 32.000 morti (oltre 13.000 sono bambini) e oltre 74.000 feriti (fonte Ministero della Sanità palestinese sotto Hamas). La parte Nord della Striscia, hanno avvertito le Nazioni Unite, potrebbe essere colpita da una carestia entro maggio. «Più di 1,1 milioni di abitanti stanno affrontando una situazione alimentare catastrofica, prossima alla carestia», si legge nel rapporto pubblicato dall’iniziativa globale Integrated food security phase classification (Ipc). Mentre non molto distante dal valico di Rafah, al confine tra l’Egitto e la Striscia, sono fermi molti camion carichi di aiuti umanitari. E ora l’assenza, seppur temporanea, delle Ong a Gaza rischia di aggravare la già tragica situazione della popolazione civile. 

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